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I «Sonetos venecianos» di Asturias

Giuseppe Bellini





Se il romanzo, la narrativa in genere, hanno assunto per la fisionomia letteraria di Asturias un significato così preminente da polarizzare su di essi, quasi esclusivamente, il giudizio dei critici, l'attenzione dei lettori, la poesia non è stata in realtà un capitolo minore nell'attività creativa dello scrittore guatemalteco, ma piuttosto un esercizio intimo, «recatado». Benché, in definitiva, parlare di poesia, per Asturias, voglia dire abbracciare tutta la sua opera, in quanto anche la narrativa e il teatro sono essenzialmente permeati di poesia. Essa si manifesta, infatti, in quell'afflatto lirico-narrativo-drammatico con cui l'artista rivive il suo mondo, nell'«indianità» non settaria, non motivo contingente, ma parte essenziale dello spirito.

Nella poesia, quella in versi, intendo, tale afflatto lirico, tale aderenza a un mondo del quale Asturias si sente parte integrata e integrante è quanto di più evidente. La sincera adesione dell'artista alle vicende della sua gente, alla viscera della sua terra, gli permette di apportare alla poesia una sensibilità, una freschezza di ritmi e di colori del tutto inediti, non tesi al pittoresco, ma a sottolineare piuttosto, per contrasto, in una permanente nota lirica, le inquietanti tinte della tragedia, al disopra della quale innalza un messaggio di speranza. Il continuo intersecarsi dei piani temporali -passato e presente- afferma una prospettiva certa di riscatto per il futuro.

Le radici autoctone, i legami profondi con l'antica poesia precolombiana, sono particolarmente vivi nella poesia di Miguel Ángel Asturias. La coscienza di un momento diverso nella condizione della sua gente, che caratterizzò il passato, si proietta sul tempo a venire. La poesia mitica del Popol-Vuh, le antiche concezioni cosmogoniche, operano in profondità nello spirito guatemalteco, e Asturias ne sente tutta la suggestione. Egli rivive con acuta sensibilità la spiritualità maya; anche per lui, come per gli antenati remoti, tutto acquista una vita segreta, che solo attinge chi ha l'animo puro. Inizia, allora, un intimo dialogo tra l'uomo e le cose, modo, in sostanza, per stabilire una distinzione morale tra oppressi e oppressori. E come presso le antiche civiltà meso-americane solo il «predestinato» poteva assumere la parola per la collettività, divenendo di essa l'interprete sacro, così Asturias si trasforma nel «Gran Lengua» della sua gente, della quale nella poesia rivela non solo la condizione dolente, ma le nobili aspirazioni e la ricchezza spirituale.

Nel prologo a Sien de alondra, che raccoglie la somma prima dell'Asturias poeta, Alfonso Reyes dichiara di scoprire nei suoi versi, con intuito chiaro, una nota positiva e confortante intorno all'esistenza e all'avvenire della poesia in America, e sottolinea, in particolare, nel verso, la nota di costante sincerità. Il Reyes vede sorgere tale poesia dalle visioni più immediate, fondarsi sulle emozioni più permanenti, in una traiettoria che, partendo da accenti modernisti, attraverso le esperienze dell'avanguardia, approda ai moduli e ai ritmi caratteristici dell'antica poesia precolombiana, di cui faceva propri taluni mezzi stilistici, come l'iterazione e il parallelismo, il simbolismo e la metafora, aggiungendovi la novità della jitanjáfora, che permette di evocare atmosfere eroiche e sacre, di profonda suggestione.

Sien de alondra, che Asturias pubblica a Buenos Aires nel 1949, raccoglie i frutti di una lunga stagione poetica, che risale al 1918. Il libro fu successivamente ampliato nell'edizione madrileña delle Obras escogidas (1954), comprendendo la produzione poetica fino al 1954 e gli Ejercicios poéticos en forma de soneto sobre temas de Horacio.

Dal 1954, pur dedicandosi prevalentemente alla narrativa, Miguel Ángel Asturias non tralascia la poesia. Si può dire, anzi, che in alcuni momenti essa assuma un rilievo non inferiore, nelle intenzioni del poeta e per il valore intrinseco, alla sua opera in prosa. Diverse poesie egli pubblica su varie riviste, riunite più tardi, nel 1968, in Parla il «Gran Lengua», con altre composizioni delle epoche precedenti. Nel 1965 la pubblicazione di Clarivigilia primaveral dà alla poesia ispanoamericana un'opera di valore insostituibile; essa rappresenta lo sforzo di maggior significato di Asturias in questo settore della sua creazione artistica, e il momento di più alta ispirazione e originalità, nell'adesione, personalissima, al mondo delle antiche cosmogonie, ma con un'incidenza sul momento attuale di estremo rilievo. I risultati artistici appaiono sorprendenti anche nell'ambito della forma, del suono e del colore. La meraviglia del mondo meso-americano sorge nella sua pienezza, quale paradiso non gualcito dalla guerra degli uomini e del tempo.

L'«indianità» di Miguel Ángel Asturias è da intendersi, nella sua traiettoria poetica, come adesione spirituale al passato mitico e alle sue forme; di tutto ciò egli afferma la validità nel tempo, quindi anche per l'attualità, un presente che la realtà mostra amaro e doloroso, colmo di ingiustizie, ma non cristallizzato in senso negativo. L'impegno che domina lo scrittore nell'opera in prosa, manifesta nella poesia una più scoperta preoccupazione per il proprio paese, il Guatemala. La passione per la patria asservita domina i versi del poeta; l'epica grandezza di «Tecún-Umán» si definisce meglio alla luce di un oggi miserabile, quello denunciato in «Alimentos» e nella «Marimba tocada por indios». La magia di un mondo che sembra affermare sul tempo un privilegio naturale diviene più suggestiva, per contrasto, nella persistente nota di tristezza con cui la poesia di Asturias fissa la situazione bruciante della patria in catene. Ma il messaggio che il poeta reca alla sua gente, al disopra dell'amarezza della realtà contingente, si concreta nella prospettiva dell'avvento definitivo della libertà e della giustizia.

Per tal modo Miguel Ángel Asturias adempie alla funzione che ritiene propria dello scrittore, e del poeta, quella di denunciare per spronare, di sostenere per non far soccombere nella rassegnazione. La forza per questo tipo d'azione egli la trova nella relazione intima con le cose. La poesia di Asturias è sempre raccolta, anche quando diviene epica e civile. Il suo verso, scorrevole, musicale, ricco di onomatopee e di colore, ma rifuggente dal folclore e dall'esotismo, è soprattutto ricerca di comunicazione.

Nei Sonetos de Italia questa ricerca raggiunge esiti particolari. La poesia della breve raccolta scaturisce da un soggiorno del poeta a Venezia, nel periodo 1963-1964, momento assai difficile per Asturias, esule e ramingo. Nella presentazione che ne feci nel 1965, proponevo un titolo più idoneo e più logico, Sonetos venecianos. Miguel Ángel Asturias canta, infatti, nei quattro sonetti, una Venezia della quale coglie sottilmente l'inquietante messaggio. La città lagunare è vista dal poeta in una sognante e irripetibile geografia, carica di storia e di splendore, nella presenza di un passato meraviglioso e defunto che muove a profonda meditazione. Asturias canta, perciò, Venezia nella sua bellezza incomparabile, nella magnificenza irreale delle sue architetture, nella pittura luminosa del Carpaccio, anch'essa, come la città, richiamo insistente ad epoche passate. «Aquí todo es ayer, el hoy no existe»; un ieri favoloso, denso di mistero, che confermano in suggestioni d'enigma anche gli animali più apparentemente insignificanti: nella loro presenza si riflettono echi di lontani splendori, di esotiche magnificenze, un mondo addormentato, incantato, nel quale rivive, per immediato riferimento dello spirito, quello più intimamente sentito da Asturias, le città maya con il loro enigma, e, sulla lezione del tempo, la distesa presenza della morte.

Nei Sonetos venecianos si percepisce chiaramente come la città italiana scavi nel profondo del cuore. La grandezza antica di Venezia, la fantastica sospensione dei palazzi, tra acqua e cielo, riconduce Miguel Ángel Asturias al centro spirituale del suo mondo, fisso nel tempo, presenza continuamente operante.

Dopo il Premio Nobel, lo scrittore guatemalteco torna a Venezia, in altre condizioni spirituali e con diverse prospettive per il futuro, per ricevere dall'Università veneziana la laurea «honoris causa», e di nuovo sente l'antica suggestione. Tre altri sonetti vengono ad aggiungersi, in tale occasione, ai precedenti. Composti nel maggio 1972 essi ripresentano, in altri accenti, il clima pensoso e incantato dei precedenti. Di Venezia Miguel Ángel Asturias non può cantare che l'unicità e la meraviglia, deducendo una lezione etica che si proietta sull'inquietante ed eternamente irrisolto problema dell'uomo e delle cose di fronte al limite.






Otras ciudades, pero no Venecia


Otras ciudades, pero no con viento
en los palacios para hacerse al mar.
Anclada apenas en la tierra,
siento que esta ciudad está para zarpar.

Otras ciudades, pero no con tiento
de espejos, y neblinas, y radar
de murciélagos que oyen movimiento
de puentes en que todo es navegar.

Otras ciudades, sin la peripecia
de este ir soñando un viaje sin escalas,
otras ciudades pero no con alas

de piedra blanca y mármoles en vuelo,
reflejo de ciudad entre agua y cielo,
otras ciudades, pero no Venecia.




Venecia, la cautiva


Aquí cerca no hay, tampoco hay lejos.
Lo que parece cerca, el agua vieja
lo vuelve eternidad y en los reflejos
se aproxima la imagen que se aleja.

¿De qué es la realidad en los espejos?
Y los palacios entre ceja y ceja
de puentes como acentos circunflejos,
¿de qué son cuando el agua los refleja?...

Aquí todo es ayer, el hoy no existe,
huye en el agua, corre en los canales
y va dejando atrás lo que subsiste,

fuera del tiempo real, en las plurales
Venecias que nos da la perspectiva
de una Venecia sola, aquí cautiva.

Poema




Los gatos de Venecia


De vidrio veneciano uñas en nieve,
en oro o en penumbra. Blancos gatos
de ojos de Nilo, negros de andar breve
y de ámbar de relámpago en retratos

tomados al magnesio que luz llueve,
los gatos amarillos, arrebatos
da esta ciudad que en góndolas se mueve
entre gatos y gatas que hacen tratos.

En góndolas de máscara gatuna
que erguidas, sin orejas y con dientes
de mandolina, corren tras la luna,

bola de lana que se desovilla
bajo los espinazos de los puentes
enarcados de una a otra orilla.




Carpaccio


Dejadme en un Carpaccio, todo es pobre
fuera de su pintura, de sus gozos...
¿Cómo aceptar que el alma se recobre
de irrealidad tan real hecha de trozos

del sueño de Orsola al dragón de cobre,
del perrito a los santos religiosos,
que si llueven palacios, llueven sobre
Venecia, Carpaccios luminosos?

¿En qué Venecia estar? ¿En la de fuera
o en la Venecia del Carpaccio, dentro,
toda bañada en luz a la ligera,

milagro de la cruz y las especias?...
¡Dejadme en un Carpaccio, muy adentro,
que así puedo vivir en dos Venecias!




Venecia iluminada


¿De qué luz están hechos los cocuyos
y las verdes luciérnagas, luz y agua,
y los gusanos luminosos cuyos
besos son luz, y el fuego de la fragua,

y las estrellas, y los ojos tuyos,
aguasoles de sol que se desagua,
y la aurora boreal que ha hecho suyos
el esplendor del cielo que se agua

en el mar, éxtasis y agonía,
y la noche que sube a ser el día
pulverizada en aire de diamante

y el cinturón del cepo rutilante,
de qué luz están hechos, de qué hechizo,
que nos responda Dios el que los hizo.




Esta rosa amarilla


De qué oro de luz, carne de rizo,
de qué oro de luz, más luz que oro,
de qué oro de luz, pétalos hizo
esta rosa amarilla, este tesoro

del jardín más fugaz y movedizo
que otras rosas enciende en su alto coro
y una sola me dio, rosa y hechizo
de relámpago en alas de meteoro...

Incendio veneciano tan antiguo
que elude el vendaval de las edades
y se hace realidad en el exiguo

mar de ámbar y topacio de esta rosa,
de esta rosa amarilla, de esta rosa
encendida en fulgor de eternidades...




Venecianas islas


Por menos sed, la corza viene a saltos
y a golpes de resortes, lengua fina,
se lleva en la garganta los cobaltos
de la tarde, en el agua cristalina...

Por menos hambre, la callada en altos
abedules, vuela a la vecina
esponja verde y pica a sobresaltos,
en las frutas, la luna vespertina...

Por menos sueño, la nocturna fuga
de la serpiente, el topo, la tortuga,
alas, pezuñas, cascos, animales

y colores y formas vegetales...
Menos sed, menos hambre y menos sueño
y a nada reducido el vasto empeño...

I primi quattro sonetti furono scritti a Venezia nel febbraio del 1963 ed editi il 15 marzo 1965 presso l'Istituto Editoriale Cisalpino, Varese-Milano, per conto della Cattedra di Letteratura Ispano-americana, Facoltà di Lingue e Letterature Straniere, dell'Università Bocconi, in tiratura di 300 esemplari, numerati in cifre arabe, quale omaggio al Poeta.

Il sonetto che inizia col verso «Esta rosa amarilla...» fu composto in omaggio a Rosella Meregalli, che aveva offerto al Poeta una rosa del suo giardino.

Il sonetto che reca il titolo «Venecia iluminada» è dedicato a doña Blanca de Asturias.

Gli ultimi tre sonetti della raccolta furono scritti a Venezia nel maggio 1972.





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