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Una regolarità che naturalmente proveniva più dall'interno che dall'esterno (questa è la felice intuizione del Discurso) ma che in ogni modo non mancava di contrapporsi alla sregolatezza delle forme più accese del romanticismo contemporaneo. Che queste posizioni si possano definire moderate nei confronti di altre e in quanto riflesso culturale di un orientamento politico ispirato agli ideali del juste milieu mi pare sostanzialmente incontrovertibile. Non perciò si deve negare la possibilità di scorgervi accenti di apertura e progresso rispetto alle posizioni precedenti, ma sarebbe, a parer mio, un po' arrischiato pensare che Durán abbia espresso nel Discurso idee conservatrici per il timore della censura; cfr. al riguardo D. L. SHAW, op. cit., pp. XIV-XV.

 

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Basterebbe raffrontare l'immagine, cui ricorre Donoso, di una letteratura secentesca «inculta y salvaje» con la convinzione di Durán che essa abbia saputo assimilare in un tutto unitario le molteplici esperienze letterarie precedenti per ottenere un quadro abbastanza chiaro dei contrasti di fondo. Cfr. Discurso de apertura en Cáceres, in Obras Completas de Don JUAN DONOSO CORTÉS, Madrid, Bibl. de Aut. Crist., 1946, p. 41; le idee di Durán al riguardo, affioranti qua e là nel Discurso (cfr., p. es., pp. 17-18), trovano una loro definitiva sistemazione nel Discurso Preliminar preposto al Romancero: cfr. BAE X, pp.LXI-LXII.

 

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Si confrontino le seguenti definizioni della poesia: DURÁN, Disc., p. 28: (La poesia) «no es otra cosa que el modo ideal de expresar los sentimientos humanos»; J. DONOSO, Discurso de apertura, cit., p. 33: «La poesía no es otra cosa que la expresión enérgica de las sensaciones, que, habiendo herido fuertemente nuestra imaginación, se revisten en nosotros de aquel carácter de grandeza y de sublimidad que nos arrastra a la contemplación muda y silenciosa de todo lo bello, lo ideal y lo sublime»; A. ALCALÁ GALIANO, Prólogo al Moro Expósito, in Obras completas de Don A. Saavedra, Duque de Rivas, II, Madrid, Bibl. Nueva, 1854, p. IX: «Todo cuanto hay vago, indefinible, inexplicable en la mente del hombre; todo lo que nos conmueve, ya admirándonos, ya enterneciéndonos; lo que pinta caracteres en que vemos hermanado lo ideal con lo natural, creaciones en fin que no son copias, pero cuya identidad con los objetos reales y verdaderos sentimos, conocemos y confesamos; en suma, cuanto excita en nosotros recuerdos de emociones fuertes; todo ello, y no otra cosa, es la buena y castiza poesía».

 

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Prólogo, cit., p. XXII.

 

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Cfr. BAE CXXIX, p. 257.

 

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Elvira, a differenza della Clara di Lope, era già promessa a Macías; Elvira cede alla volontà del padre anche perché le si fa credere che Macías si sia sposato; Fernán Pérez, lo sposo di Elvira, è dipinto come un essere superbo e odioso che induce lo spettatore a parteggiare per Macías: questi, per sommi capi, gli spunti nuovi che rendono la vicenda più naturale.

 

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Mentre, in Lope, l'amore di Macías è reso impossibile dal destino che gli ha fatto incontrare Clara quando questa è già promessa ad un altro, in Larra, Macías non può sposare Elvira per le macchinazioni dei suoi nemici.

 

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Cfr., per esempio, I, 4: una scena scritta nel più puro gusto neoclassico, con le consuete esclamazioni, interrogazioni retoriche, sentenze.

 

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La Historia de la Literatura Española e Hispanoamericana di E. DÍEZ ECHARRI - J. M. ROCA FRANQUESA, Madrid, Ed. Aguilar, 19662, p. 863, n. 13, annota i seguenti anacronismi: nel 1406, data della vicenda, si citano come fatto trascorso i giochi floreali di Saragozza presieduti dal Villena e si accenna come a evento futuro all'ambasciata del Gran Tamerlano che aveva invece avuto già luogo. Altri anacronismi sono invece di tipo morale.

 

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La Clara di Lope supplicava Macías di lasciarla in nome del suo onore: «que no me quieres a mí / mientras no quieres mi honor» (III, 9); e sfoderava tutte le argomentazioni del codice platonico e cortigiano: «baste / que agradezca yo tu amor / para un hombre de valor...»; no es razón / que a costa de mi opinión / ganes fama de poeta...»; «más que me sirves, molestas...» (ivi). Anche Elvira ricorre all'onore, ma questo è ormai divenuto un sentimento intimo, personale: «¿está la dicha / donde el honor no está? cuál despoblado / podrá ocultarme de mí propia?» (III, 4); ma infine è decisa a far trionfare quell'amore che definisce «pasión tirana, inextinguible» (I, 4): «mi amor se salve, / ya que imposible fue salvar mi honra» (IV, 3). Nel contempo, Macías, da buon allievo di Rousseau, invita Elvira a cercare fuori della società l'appagamento del loro amore: «Si en las ciudades no, si entre los hombres / ni fe, ni abrigo, ni esperanza hallamos, / las fieras de los bosques una cueva / cederán al amor...» (III, 4). In questa prospettiva rousseauniana si collocano anche quelle frasi che hanno avuto tanta risonanza: «Rompe, aniquila / esos que contrajiste horribles lazos. / Los amantes son solos los esposos ecc». (ivi).