Il Mediterraneo caraibico di Pablo Antonio Cuadra
Giuseppe Bellini
Università di Milano
—7→
Il titolo di questo intervento potrebbe essere, forse più esattamente, «Il mare greco di P. A. Cuadra». Poeta tra i più rilevanti dell'America Latina, voce dominante nel Centroamerica, sorta di padre della poesia nicaraguense, dopo il magistero di Rubén Darío, a 82 anni, vigorosamente portati, il longilineo personaggio è simbolo vivente della dignità di fronte al potere, di qualunque ideologia espressione.
Presidente dell'Accademia Nicaraguense della Lingua e a lungo Direttore de «La Prensa», il maggior giornale di Managua, subì prima le angherie della dittatura di Somoza, che contribuì in modo determinante ad abbattere, poi quelle dei sandinisti nel momento più intollerante della loro traiettoria politica. Perché Cuadra ha combattuto sempre per la libertà dell'individuo e del suo paese, senza ammettere compromessi.
Prima di
proseguire nel mio discorso ritengo opportuno dare qualche
chiarimento riguardo all'ambito geografico al quale mi riferisco.
Chi ha presente la geografia dei Caraibi sa bene che il
Mediterraneo caraibico comprende, oltre alle grandi e alle piccole
Antille -meraviglioso «reguero de islas lunáticas como
caimanes dormidos en el estanque del mar»
,
secondo quanto scrive Gabriel García
Márquez1-,
altri paesi numerosi, che su tale mare si affacciano e per i quali
esso è respiro e vita: dal Venezuela alla Colombia, da
Panama a quasi tutti i paesi del Centroamerica, fino al Messico e
agli stessi Stati Uniti, per le coste del golfo messicano e la
Florida.
Tra i paesi centroamericani il Nicaragua si affaccia sul Mediterraneo caraibico con una estesa regione, quella inospitale e selvaggia della Costa dei Mosquitos, —8→ ma un fiume mitico, il río San Juan, risalito in tempi non del tutto remoti da cercatori d'oro diretti verso la California e da avventurieri senza scrupoli, tra questi il famigerato William Walker, che sulla metà del secolo XIX, con una banda armata, si impadronì del paese autoproclamandosi presidente, comunica il Mediterraneo caraibico con il Gran Lago di Nicaragua, Mar Dulce, cuore palpitante della nazione. Dietro Walker stavano il capitalismo nordamericano e quello nicaraguense, con un progetto di comunicazione tra i due oceani. Verso il Pacifico, infatti, una stretta lingua di terra limita l'immenso lago, e sarebbe stato facile aprirvi una comunicazione. La fucilazione dell'intraprendente personaggio, nel secondo tentativo di impadronirsi del potere, impedì la realizzazione del progetto, che avrebbe annullato un'intera nazione2. Fu più facile, in seguito, per gli USA, staccare una zona periferica di territorio dalla Colombia e dare vita alla repubblica di Panama, il cui governo concesse il territorio necessario alla realizzazione del Canale.
È il Gran Lago il Mediterraneo di P. A. Cuadra, una sorta di grande mare interno, che comunica, attraverso il río San Juan, con il più ampio Mediterraneo dei Caraibi, come il Mar Nero comunica con il Mare Mediterraneo attraverso lo stretto dei Dardanelli. L'avvicinamento non vale dal punto di vista culturale; si dovrebbe parlare piuttosto di un Mare Egeo, perché il Gran Lago è legato singolarmente alla cultura dell'Ellade, oltre che a quella della latinità. Esiodo, Omero, Virgilio, Orazio, Lucrezio, Catullo, Stazio, sono autori ben radicati nella cultura nicaraguense3 -non si dimentichi che l'istruzione superiore in Nicaragua fu sempre dominio dei gesuiti, quindi classica-, come lo sono, per via naturale, i grandi autori del Siglo de Oro e del Novecento ispanico, i sommi poeti italiani, Dante in particolare, ma anche, nel secolo XX, i nostri poeti più significativi, da —9→ Saba a Montale4. E qui ancora va ricordato quanto la poesia nicaraguense dell'avanguardia, della quale Cuadra fu con Coronel Urtecho una delle maggiori espressioni, debba alla poesia italiana5.
Un piccolo paese, il Nicaragua, che si qualifica come rilevante centro di cultura; una cultura nella quale si fondono quella dell'Occidente mediterraneo e la cultura locale, della Conquista e anteriore ad essa.
Per P. A. Cuadra il Gran Lago, Meditenaneo interno, presenta profonde analogie con il nostro Mediterraneo, in particolare con il mondo dell' Odissea. Scrive:
«El Mediterráneo comparado con los otros mares, es un 'mar interior', un gran lago. Dentro de esta intimidad, las formas de sus costas encierran -en grandes golfos o bahías- mares más pequeños como el Adriático, el Tirreno, el Jónico y el Egeo que ofrecen una cierta analogía con el ámbito de nuestro Gran Lago. Aquel paisaje, como un viejo utensilio marinero, está desgastado por el uso. El Cocibolca es todavía lo virgen, pero eso mismo nos empuja a trasladarnos, no al tiempo de Homero, sino más atrás, al tiempo de sus héroes, cuando la navegación del Meditenáneo era costera, las formas de vida rústicas y primigenias y el pueblo que hacía la historia de ese 'mar interior' era un pueblo de jinetes que se habían convertido en marineros y combinaban, para vivir, la agricultura y la marinería más o menos como el hombre de nuestro Mar Dulce nicaragüense. Homero nos describe una vida de gran familia dispersa, gente que más o menos se conocía y conocía sus naves desde lejos. Gente isleña, como dicen en el Cocibolca. Por eso en nuestro Gran Lago convivimos muchas escenas de la Odisea. [...]6. |
L'essenza del
Mediterraneo, per P. A. Cuadra,
sta proprio in questo clima delle origini che si mantiene nel
Gran Lago: un modo di esistere
legato alla terra e all'acqua, alla vita dei campi, all'allevamento
del bestiame e al rischio della navigazione, alla sete di
conoscenza dell'oltre, dell'ancora non conosciuto, con tutti i
pericoli che comporta. Per questo la figura ispiratrice è
l'eroe dell' Odissea, Ulisse, non quello felice, alla
fine, del poema omerico, che fa ritorno alla sua terra, ad Itaca e
che, uccisi i Proci, vinti i vendicatori, può accingersi
nuovamente, dopo tante avventure e perigli, patriarcalmente a
regnare -Atena «occhio —10→
azzurro», «un patto per il
futuro stabilì fra di loro»
7
-, ma quello più drammatico della Divina Commedia.
Un Ulisse che interpreta la necessità per l'uomo di non
vivere come «bruto», «ma per
seguir virtute e conoscenza
»8.
Cuadra fa, anzi,
dell'eroe, il precursore della scoperta dell'America; nel
«turbo» improvviso della Commedia, che provoca
la morte sua e quella di tutti i compagni, egli vede «un violento
turbión caribe»
che, seppellendo
Ulisse «en el seno de su
implacable antagonista, el Mar»
, lo manda a
morire proprio «frente a las
playas de América
»9.
Attraverso l'eroe
omerico, eroe precursore della scoperta, si stabilisce un legame
culturale profondo tra il mondo mediterraneo e quello americano
caraibico. Verrà poi Colombo, verranno gli scopritori e i
conquistatori spagnoli, entrerà nel Caribe la cultura di
segno ispanico, ma quella mediterranea propriamente detta, quella
ellenistica, sembra addirittura, nel pensiero di Cuadra, averla
preceduta, o quanto meno, funziona in lui come presupposto per il
riscontro di comuni legami attraverso immense distanze geografiche
e temporali. L'operazione che compie infatti il poeta è,
come segnala Ernesto Cardenal, sull'influsso del mondo omerico, di
scendere verso l'elemento popolare, di spingersi alla ricerca delle
radici della nazione nicaraguense, «remontando en el pasado
indio hasta la noche
náhual
»10,
e, aggiungiamo, così arricchito culturalmente, ricostruire
la storia della sua gente, riscattando il passato e interpretando
il presente.
Perciò
l'importanza dell'Odissea, della cui lettura fin
dall'infanzia P. A. Cuadra si
è nutrito11,
scoprendo in essa una comunione diretta con il mondo del Gran Lago.
La lettura era in perfetta consonanza con ciò che la gente
che viveva sulle sue rive raccontava; scrive il poeta:
«escuchando sus mitos y
leyendas, sus historias, su léxico de navegación, uno
se siente inmerso mágicamente en el mundo
homérico
»12.
Perché il Gran Lago
di Nicaragua, Mediterraneo caraibico in scala geograficamente
minore, ma sempre immenso Mar Dulce,
sembra ripetere la situazione semplice e magica del mondo omerico,
dove l'uomo è immerso nella natura, vive tra acque e
isole.
Inizia così una poesia della semplicità, dove tutto diviene segno del meraviglioso, cantato senza squilibri, con una compostezza classica essenziale, priva —11→ di retorica, poiché affonda le sue radici in un humus culturale straordinario, che si riflette nella magica semplicità del mondo di Omero.
Tra la terra e l'acqua, anime del mondo nicaraguense come lo sono del mondo omerico, il conflitto è costante; vince l'avventura, perché il Gran Lago è tentazione continua e sprone:
«es la tentación de la 'hydris' (de la desmesura) frente a la tierra campesina que lo rodea. El Lago alimenta el sentido de la aventura, da el pulso para arrostrar el peligro y lo desconocido frente a la timidez y a la rutina del campesino. Contrapone al rancho, la nave. Contrapone a lo seguro, lo temerario. Contrapone a lo conocido, lo extraño. El agua es el destierro; exige un abandono de la seguridad, un desasimiento de lo terrestre para vivir la maravilla de la aventura. El Gran Lago tiene, por eso, una cátedra homérica en la formación del alma nicaragüense. Es el pre-texto de la Odisea. Deposita en el alma nuestra la semilla de Ulises, cargándonos con electricidad odiseica»13. |
È così che nasce Cifar, l'eroe del Mediterraneo caraibico nicaraguense, che P. A. Cuadra canta nei Cantos de Cifar y del Mar Dulce, raccolta che pubblica, dopo diversi ampliamenti, in edizione definitiva nel 1979, espressione di centralità mediterranea, poiché in Nicaragua si incrociano i mondi dei due versanti americani, dell'Atlantico e del Pacifico. Gli dèi sono sostituiti nella raccolta dal «Maestro di Tarca», il cui intervento sentenzioso si verìfica undici volte, dando una sua unità al composito poema, costituito da liriche singole, anche metricamente diverse. Un poema in cui è celebrata l'avventura, la sfida costante dell'ardimento alla morte. Ha scritto un critico:
«Cifar mantiene vivo en su pecho el sentido de la aventura, como Cuadra en el suyo el alma infantil que se asomaba al mundo de los fantásticos relatos, abiertos a sus ojos asombrados por los cuentos de Juan de Dios Mora14, marinero del Cocibolca, o las primeras lecturas del Divino Ciego de la Hélade [...]»15. |
—12→
Attraverso il
tempo quella «gastada
edición» dell'Odissea che il
giovane Cuadra portava sempre con sé e non si stancava di
leggere16
ha dato i suoi frutti. Cifar non è Ulisse, certamente;
quello era un eroe, un semidio; intorno a lui si agitavano
divinità nemiche e divinità protettrici; Cifar
è l'eroe umile di un'epica corrente, ma non per questo di
minore dignità e significato. Come Ulisse non esistevano
altri uomini; come Cifar ne possono esistere molti. Proprio questo
vuole intendere Cuadra: Cifar è l'anelito costante dell'uomo
a lasciare il ceno per l'incetto, a spingersi oltre per vedere, per
conoscere, non per ottenere: suprema impresa umana, perché
senza finalità materiali. Egli resiste al richiamo,
all'insistenza degli affetti, non ascolta le suppliche angosciate
della madre, come ognuna timorosa e prudente; a lei che lo implora
di lasciare le acque, Cifar risponde che il Lago è
l'avventura; alle sue ulteriori recriminazioni afferma che
preferisce «lo extraño
a lo conocido»
, e issa le vele felice:
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La madre tenta ancora di trattenerlo, ma
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Intorno, un paesaggio «domestico», come nell'Odissea, anche se meraviglioso, reso familiare dalla toponomastica, dalla vita che vi si svolge, da un linguaggio essenziale, non scarno, anzi idoneo a creare una schietta atmosfera di poesia. Paesaggi diurni e paesaggi notturni, nei quali si appaga la vista o l'udito, aperture dell'anima. Il canto rende tenera la notte e musicali e misteriose le acque del lago:
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Non è l'incanto pericoloso delle sirene odisseiche, ma sirene non mancano nel Mar Dulce, né isole incantate, né Circi maliose e infide: sono le donne che rendono pazzi gli uomini, inebriandoli con il profumo della loro carne e che li perdono, o li conducono alla violenza:
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Si ricorderà sempre il «furore» dei neri occhi di Eufemia20, o la deflorazione rituale di Ubaldina, moglie di Cifar, da parte del marito, per acquietare le acque infuriate del Gran Lago21. Ma il Gran Lago, Mar Dulce, presenta, come il Mediterraneo, un traffico intenso e immagini preziose e vitali lo rallegrano, penetrando nel poema: non solo avventure pericolose, come la caccia al «Gran Lagarto»22, invincibile nella sua grotta misteriosa, come una deformata immagine del Ciclope, ma visioni poeticamente domestiche, come le ragazze che tornano dalla messa, in una barca, remando,
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Salutate dalla
riva, levano «un vuelo/ de
voces frescas/ como
pájaros
»24.
Altre figure
delicate ricordano le donne solari e ingravide
dell'Odissea, come Nausicàa, che accoglie Ulisse
all'isola dei Feaci, «alle immortali
simile per aspetto e bellezza
»25,
quella stessa che con trattenuta tenerezza accommiata alla fine
l'eroe raccomandandosi trepida al suo ricordo: «Sii felice, straniero: tornato alla terra dei padri,/
non scordarti di me, perché a me per prima devi la
vita
»26.
Nei Cantos de Cifar y del Mar Dulce, tuttavia, nelle figure femminili si afferma anche un originale realismo poetico; Socorrito è una figurina graziosa, minuta e sculettante, che rifugge dall'avventura e rapida vola via:
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L'umanità
dell'eroe si afferma nel poema di Pablo Antonio Cuadra, e con essa
la sua dimensione interiore. Cifar è assalito da sentimenti
che nulla sembrerebbero avere a che fare con l'eroico, se
già Ulisse non stesse a documentare che l'eroe non cessa di
essere uomo. Anche Cifar, quindi, si sente oppresso dalla «soledad y la
lluvia»
, si tormenta perché attratto
da «una bella desconocida /
de quien nadie me da razón en este
puerto
»28,
è vittima a volte della nostalgia di casa, della moglie e
del figlio. Contraddizione apparente: Neruda ha scritto che il
cuore dei poeti, come tutti i cuori, è «una interminable
alcachofa», dove vi sono foglie per donne di
carne e ossa, per amori veri o sogni persistenti29.
Cifar prova anche lui nostalgia per ciò che rappresenta
calore nella vita, come Ulisse: «È
tutto pronto quel che voleva il mio cuore, [...]»
-dice
l'eroe ad Alcinoo- «possa io in casa
fedele la sposa / trovare tornando, e sani gli
amici
»30.
Solcano il cielo del Lago i grandi uccelli, cormorani e aironi:
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Nei Cantos tutto è
reale e tutto è fantastico. Come nell'Odissea,
anche nel poema di Cuadra vive un capitale di folclore che rende la
dimensione più intima del Nicaragua. Allo stesso modo che
nel poema di Omero domina la vicenda dell'uomo, sempre di fronte al
mistero e alla morte. Mistero e morte convivono, infatti,
nell'avventura dell'eroe. Quando sirene sembra che cantino nella
notte -«En la noche /
mientras navegábamos/ estuvimos escuchando cantos / muy
lejos de tierra
»32,
in realtà è la morte che chiama:
|
E le meravigliose
creature che accattivarono Ulisse con la loro voce divina, tanto
che, legato all'albero maestro, egli supplicava disperato i
compagni con lo sguardo che lo slegassero, perché, afferma,
«il mio cuore/ voleva
sentire
»34,
cioè tutto di lui era teso a quelle voci bellissime, nei
Cantos
divengono relitti del tempo, immagini raccapriccianti della morte.
Persa l'antica bellezza, le trecce «entrecanas», i seni
«lacios», odorante di
pesce, una vecchia sirena «desgañita/ con su anticuada/ aria
griega»
e riceve, impotente, gli insulti
dell'eroe:
|
Il mito è svuotato. Sono, in altra forma, le dure realtà di Jorge Manrique, una nuova lezione sulla transitorietà della giovinezza, della bellezza e di ogni cosa umana. Troppi sono gli inganni dei sensi, troppi fantasmi cupi si agitano sulle acque; ombre inquietanti di navi popolano la marina e pallidi marinai chiedono del porto. Ma nessuno conosce il porto, ed è meglio fuggire:
|
È questo
l'unico consiglio possibile. Pablo Antonio Cuadra si aggira tra
miti negativi e positivi per insinuare una sua filosofia della
vita, per la quale solo l'avventura attutisce il rumore del tarlo
che rode dentro. L'avventura è rischio, ma permette la vita,
dà una sua felicità di stordimento, non vince solo,
come intende il Leopardi, la noia37.
Più vale della gloria, che con sé trae il dolore. Ma
anche l'eroe invecchia e sopraggiunge la malinconia,
«mientras la luna/ emana
su orfandad
»38.
Neppure l'amore è àncora sufficiente, non la
bellezza, che si crede eterna, ed è presto sfiorita. Tutto
si fa oscuro e sulle avventurose acque rimane un solo remo come
epitaffio39.
Lo splendore del mondo greco-nicaraguense sembra dare nella poesia di Pablo Antonio Cuadra un ultimo raggio luminoso, nel finale di «Mujer reclinada en la playa»:
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Ma la testa è «di marmo», e «mutilata»... Sembra un quadro metafisico di De Chirico: momento sospeso, immobile, misterioso e inquietante. Cifar è un Ulisse che si perde nella notte. Il Maestro di Tarca e il Gran Lago gli hanno offerto troppi insegnamenti, svelato l'altra faccia del reale, e l'incantesimo è finito. L'Ulisse dantesco moriva per il «folle volo»; Cifar muore perché l'avventura gli ha rivelato il mondo. Anche l'eroe invecchia e il mare greco ha finito per sfociare in quel gran mare stoico che domina l'animo iberico e che così qualificati interpreti ha avuto: da Seneca a Quevedo, a Unamuno, da Sor Juana a Vallejo, a Neruda. È questo, soprattutto, il segno profondo che accomuna i due mondi mediterranei.