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ArribaAbajoCapitolo III

L'irrazionale come fonte del riso


Alcune commedie non rientrano rigorosamente nel quadro che s'è tracciato: sebbene Moreto sia stato quasi sempre fedele alle sue concezioni, tuttavia scrisse anche lui, come tanti altri, lavori più leggeri o addirittura impersonali, in cui, a non voler forzare l'interpretazione, è difficile scorgere il pieno sviluppo dei motivi a lui più familiari. Si tratta di commedie di puro divertimento, tavolta anche sorrette da una discreta tecnica, come Trampa adelante e Las travesuras de Pantoja, o, peggio, inconsistenti ed affastellate come Travesuras son valor ed El esclavo de su hijo.

Tuttavia, in talune di esse, la mentalità del nostro autore si rivela attraverso la comicità.

E' soprattutto il caso del Pantoja, in cui Moreto seppe, tra l'altro, introdurre una scena tanto comica che acquistò vita indipendente e venne rappresentata come un entremés a sé stante148.

In questa scena, la sesta dell'atto terzo, la comicità asce dal fatto che un personaggio parla in modo   —124→   volutamente confuso, mentre l'altro tenta vanamente di afferrare il filo logico del discorso, che naturalmente non esiste. Il gracioso Guijarro, per dare a Pantoja la possibilità di rapire l'amata Juana, intrattiene il padre di lei, il letrado Don Lope, fingendo di consultarlo intorno ad una questione intricatissima e senza capo né coda. La scena è assai vivace, anche per merito del linguaggio scoppiettante in cui Moreto è maestro; ma il comico risiede nell'illogicità del discorso e nel disorientamento che esso produce in Don Lope149.

Se l'irrazionalità è fonte di disprezzo, quando è esasperata fino all'assurdo genera solo il ridicolo.

Un analogo procedimento è ravvisabile nella scena del Lindo Don Diego, in cui nuovamente il gracioso riesce, con un discorso altrettanto senza nesso, a sfuggire all'interrogatorio di Don Tello (III, 12); ed allo stesso modo, in Industrias contra finezas (III, 5), Testuz riesce a sottrarsi a Lisarda. Ancora nella prima commedia, la più comica di Moreto, Don Diego riesce ad evitare, con uguale accorgimento, il duello con Don Mendo (III, 2, 3) e a sua volta si lascia sedurre da Beatriz solo perché questa gli si rivolge con un discorso parodisticamente culto, di cui egli non afferra il senso (II, 8).

Questa comicità dell'assurdo si riflette, oltre che nel linguaggio, sui personaggi: quel che già s'è detto, a questo proposito, di Don Diego, vale pure per Pantoja, sebbene su di un piano diverso. Il ridicolo di Pantoja nasce dall'inverosimile delle sue azioni: dovunque interviene la sua spada, sgomina interi gruppi di avversari alla maniera degli eroi dei libri di cavalleria   —125→   e, senza batter ciglio, conversa col fantasma di Arjona. E' stato rilevato che l'eroe di Moreto, benché non rifiuti il combattimento, non è un matamoros; e quando lo è, non riscuote la simpatia dell'autore, come accade per San Franco nella prima parte dell'opera; ora, nel caso di Pantoja, l'esasperazione di questo atteggiamento lascia chiaramente intendere, nella sua assurdità, il valore puramente comico.

Quanto alla brillantissima Trampa adelante, presenta anch'essa il contrasto fra razionalità ed irrazionalità; sennonché, essendo qui il gracioso l'essere razionale, il tono viene logicamente mutato ed il contrasto si sviluppa sul piano della comicità. Mentre Doña Leonor, Doña Ana, Don Juan sono tutti presi dai loro amori e dalle loro gelosie, per cui sono facilmente vittime di vari inganni sensoriali e sentimentali, l'astuto Millán, sempre presente a se stesso, ha modo di tessere una fitta rete di truffe e menzogne. La comicità che se ne sviluppa colpisce logicamente anche gli altri personaggi che si dibattono inutilmente nell'intrico delle situazioni in cui vengono a trovarsi150.

Questi che ora abbiamo esaminati sono i casi di comicità più vivace e più sfruttata; ma sono anche quelli più rari. In generale la commedia di Moreto non provoca la risata e si muove in un clima signorilmente sorridente, anche se qua e là appaiono concessioni al gusto più popolare e farsesco.

Alcuni suoi graciosos sono, infatti, piuttosto buffoneschi e rozzi e non manca neppure l'antica fìgura del bobo, come Tirso in La misma conciencia acusa. Altre volte appaiono scene di comicità grossolana, come quella in cui San Bernardo costringe il Demonio   —126→   a far l'ufficio d'una mezza ruota o quella dell'Eneas de Dios (posto che non sia interpolata), in cui si gioca su di una grossolana parodia della lingua francese.

Ma sono, in realtà, casi poco frequenti.

Per tornare ai graciosos, nei quali per tradizione si concentra il lato comico della vicenda, essi appaiono spesso forniti d'una loro personalità, in modo che non solo si muovono a loro agio sulla scena, come personaggi autonomi (e non come l'ombra del protagonista), ma anche il comico che ne emana acquista maggior consistenza. Ci troviamo di fronte a graciosos che, con la lucidità che loro deriva dall'assenza di sentimentalismi, addirittura guidano il padrone, il quale rischierebbe altrimenti di lasciarsi annebbiare alla passione: il famoso Polilla del Desdén, Moolín nel Poder de la amistad, Motril in Yo por vos y vos por otro, fino al caso estremo di Millán or ora citato, che diventa il vero protagonista della vicenda151.

Esistono anche lacayos coraggiosi, in armonia con i loro padroni, come talvolta Manzano (El Caballero), Guijarro (Las travesuras de Pantoja), o addirittura forniti del senso dell'onore, come Macarrón (El mejor amigo el Rey).

Quando poi circolano nella commedia motivi di particolare interesse, può accadere che il gracioso sia messo in ombra: il che accade, per esempio, in Lo que puede la aprehensión, in Primero es la honra ed in La confusión de un jardín.

Date queste caratteristiche particolari della figura del donaire, è chiaro che il comico di Moreto non può essere generalmente che moderato, in armonia d'altronde col tono consueto del suo teatro. E' un umorismo   —127→   sottile che sorge, più ancora che dalle battute, dalla situazione imprevista e dall'accavallarsi degli equivoci; lo stesso sorriso dell'autore è spesso quello dell'essere razionale che osserva bonariamente le sciocchezze commesse da chi è dominato dall'irrazionalità. Oppure si condensa in giochi di parole, che a volte per il lettore moderno sanno di freddura, ma che erano nel gusto dell'epoca e trovavano un'applicazione esasperata negli scritti dei culterani e dei concettisti152.

Nelle piezas più brevi, entremeses e bailes, incui, per il carattere tradizionalmente popolare ed esclusivamente comico, ci si potrebbe aspettare toni più facili ed una comicità meno circospetta, s'incontrano invece le medesime caratteristiche or ora esaminate e non di rado affiorano, sebbene in chiave diversa, taluni dei motivi fondamentali della personalità moretiana.

Non mancano, è vero, composizioni fondate su di una comicità gratuita ed alquanto grossolana, come gli entremeses dell'Ayo o della Bota, piuttosto insulsi nonostante qualche spunto satirico contenuto nel primo; così come esistono piezas puramente di circostanza, scritte in occasione di ricorrenze, feste e simili, alla maniea dell'Alcalde de Alcorcón, de Las fiestas de Palacio o della Loa para los años del emperador de Alemania: nell'uno e nell'altro caso, si tratta dello scotto che l'autore dovette pagare alla sua popolarità.

In generale, però, anche nelle opere più facili, subentrano alcuni tipici interessi che, nella forma più   —128→   elementare, possono esser rappresentati dal gusto per una tecnica attenta e puntuale. E' il caso dell'Hambriento e, fino ad un certo punto, del Vestuario. Il primo è, alla maniera dell'entremés de la Bota, la descrizione di un'allegra beffa: tre burlone si divertono a trattenere, con vari accorgimenti, uno studente affamato lanciato all'inseguimento della sua merenda. Qui però l'esilità della vicenda è riscattata dalla scioltezza del suo svolgimento: nelle poche pagine dell'entremés si assiste al crescendo della fame dello studente, ridotto quasi alla disperazione dai continui indugi che incontra sul suo cammino, mentre di pari passo procedono i suoi guai, fino ad arrivare ad un tentativo d'arresto, anch'esso architettato dalle tre donne. La situazione si tende fino allo spasimo, finché si spezza lietamente con la rivelazione della burla e l'arrivo della sospirata merenda.

Come si vede, il lavoro, sorretto da una tecnica più che discreta, riesce a svolgersi sul piano di una drammaticità percorsa da un lieve sorriso, senza alcuna concessione a quei toni più grossolani che la vicenda poteva favorire; anzi Moreto giunge a dare una certa signorilità alla tradizionale figura dello studente affamato, per cui, invece di farne un pícaro, lo dipinge educato e gentile, incapace, nonostante la fame, di sottrarsi alle preghiere che gli vengon rivolte.

Questo medesimo clima di sorridente drammaticità avvolge il Vestuario; qui anzi la tecnica è veramente eccezionale: senza nemmeno il filo conduttore d'una vicenda, ma limitandosi ad una pure descrizione ambientale, il poeta riesce a creare l'atmosfera eccitata del camerino prima della rappresentazione, in   —129→   un crescendo tumultuoso ed, al contempo, così armonico che, come è stato acutamente rilevato, i vari personaggi sembrano mossi da un meccanismo universale ed automatico153.

Ma questo entremés c'interessa anche perché vi sono facilmente ravvisabili alcuni dei motivi cari al Moreto commediografo. Anzitutto il gusto per la descrizione degli ambienti, nei quali i personaggi, privi di marcato rilievo individuale, giovano a creare una vivace atmosfera collettiva; e tuttavia di ciascuno, pur fondendosi col clima generale, è colto un atteggiamento tipico e costante; una mania (il galante Don Blas Carrillo), un'idea fissa (il poeta Francatripa), una vanità (le attrici).

Ed ecco allora farsi strada il sorridente moralismo dell'autore, che s'insinua, quasi inavvertito, anche nell'entremés e gli conferisce un vivo tono di comicità; tutta questa folla, impaziente ed agitata, si muove e parla, senza senso e senza scopo, sotto l'impulso delle passioni del momento. Non un discreto fra tutte queste persone: ognuno fa e dice cose che non solo non hanno un vero rapporto con il fine per cui tutti si sono riuniti, ma che anzi li fuorviano. E' la descrizione di gente che tumultua eccitatissima, senza più sapere esattamente che cosa voglia: interprete esasperato di questo stato d'animo è Francatripa, l'autore, il quale, agitato da varie passioni di momento in momento, ha perduto appunto, come dice il Balbín Lucas, l'«ejercicio lúcido y libre de su voluntad»154.

Altri ambienti ancora Moreto si compiacque di dipingere; ambienti ignobili, sconosciuti al suo teatro maggiore, ma che la legge della separazione degli stili   —130→   gli permetteva di affrontare in lavori specificamente comici. In due bailes, quello de los Oficios e quello entremesado del Mellado, gli interpreti sono personaggi della bassa plebe o addirittura dell'hampa. In questi casi anche il linguaggio si adegua agli ambienti, si fa corposo, come negli insulti che, nel primo, si scambiano le tre donne (Esportillera, / regueldo de mil lacayos155 e simili); o nel commento sprezzante e spaccone del Mellado e dello Zurdo alla concessione della grazia:


Que estamos perdonados,
no arrepentidos156.


Sono felici tocchi ambientali, che tuttavia superano la compiacenza per la pura descrizione, poiché subito s'avverte il sorriso d'indulgenza, e di sufficienza, con cui l'autore osserva questi personaggi. Che è bensì il signorile distacco con cui il letterato d'educazione umanistica osserva il popolo, ma è anche l'atteggiamento tipico di Moreto di fronte a manifestazioni scomposte di animi esagitati. Meno sensibile nel Baile del Mellado, in cui l'elemento costumbrista prevale (ma si veda la scena in cui la Chaves e l'Escalanta si rinfacciano le rispettive colpe), è assai evidente nel Baile de los Oficios, dove le tre venditrici, secondo uno schema consueto, si vanno eccitando sempre più, giungendo al parossismo all'arrivo dei loro jaques, ai quali strappano perfino le spade.

C'è dunque, al di là del puro descrizionismo, una sottile vena satirica che sgorga dai medesimi presupposti morali del Moreto commediografo.

Non di rado essa si fa anche più evidente, infondendo nell'entremés veri e propri significati morali.   —131→   Cosicché incontriamo la satira contro gli sciocchi che si lasciano facilmente turlupinare (Las Brujas, La Mariquita, El retrato vivo), la vanità dei parvenus (El Aguador), i valentones ed i pundonorosos (El Corta-Caras, Los Galanes, Los cinco Galanes, Las galeras de la honra) e, in genere, contro diversi vizi (La Reliquia, La Campanilla). Nel primo caso, l'elemento satirico non è forse troppo rilevante e viene piuttosto sopraffatto dall'ormai classica vicenda della beffa compiuta ai danni di un gonzo. Ma negli altri è assai esplicito; così nell'Entremés del Aguador si condensa a volte in sentenze:


¡Qué fácilmente claua
la vanidad en las gentes!
No ay flaqueza mas humana;


o scoppietta in qualche vivace battuta, come avviene nella scena in cui Estafa, che vuol esser chiamata Señoría, anzi Sía, si acquieta quando la serva le rivolge piena di ossequio:


Iesus, Sía tal no haga
que yo quiero a Sía mucho,
y haré lo que Sía manda,
porque no se enoje Sía.


Al che Estafa in sollucchero:


¡Qué cosa tan regalada,
que dulce, y tan sustancosa!
Dadmela por las mañanas
en lugar del chocolate157.


Del pari moraleggiante è la chiusa in cui i quattro Gabachos ricordano che, anche se si è arricchita, una fregona non differisce da un aguador. Non si tratta certo di una satira particolarmente impegnata,   —132→   ma, sebbene sia una posizione corrente nell'epoca, è facile intendere come l'assunto possa rientrare nella mentalità del nostro autore.

Altrove la morale è anche più piana e familiare, come nell'Entremés de la Reliquia, in cui s'insegna ai mariti a bastonare ed alle mogli a tacere.

Dove invece l'impegno di Moreto appare maggiore è nei lavori che toccano il tema del valore e dell'onore. Se nelle commedie aveva espresso a varie riprese la sua diffidenza per le bravate degli spadaccini, fino a destare il riso attraverso l'inverosimile figura dell'invincibile Pantoja, ora, nell'entremés, in conformità col diverso carattere della pieza, presenta il tipo del valentón cobarde: caricatura ignobile questa, quanto Pantoja era la caricatura nobile del medesimo carattere: due facce della stessa medaglia.

Questo personaggio si trova al centro dell'Entremés para la noche de San Juan e di altri due, Los Galanes e Los cinco Galanes che, nonostante i dubbi d'attribuzione, mi pare difficile considerare opera di due autori diversi158. Nel primo uno spaccone escogita i pretesti più assurdi per non cimentarsi ed uscirne ne onorevolmente; negli altri due, un valiente, chiamato in aiuto di un marito troppo paziente, dovrebbe impedire l'accesso in casa ai corteggiatori della moglie. Sennonché, nel primo, li lascia entrare ad uno ad uno col pretesto che sono gente dappoco, con cui egli non può cimentarsi; quando il povero Lorenço ed un vecchio, che s'è eletto tutore del suo onore, vorrebbero introdursi a loro volta, allora fa il bravaccio, li scaccia e li bastona. Nel secondo, con una soluzione anche più comica, dopo che i tre galanes   —133→   sono entrati, s'introduce pacificamente pure lui, seguito dal vecchio e, da ultimo, da Lorenço.

Nel Corta-Caras questo tipo riceve alcuni felici ritocchi: si tratta di un valiente a sua insaputa, uno sciocco che, ricevuto l'incarico di sfregiare una fanciulla, ne chiede il permesso agli accompagnatori di lei con tanta semplicità che quelli fuggono atterriti. Sicché qui la satira investe tanto l'ingenuità di Lorenço, millantatore inconsapevole, quanto la vigliaccheria dei suoi rivali, che dapprima s'erano presentati con piglio da bravacci.

Interessante è poi il fatto che a questo tema s'intreccia logicamente quello dell'onore, svolto sul piano burlesco. Quando, in quest'ultimo entremés, Lorenço s'accorge che la fanciulla che deve sfregiare è proprio la sua Juana (e si noti che s'era messo a scuola di valentía per conquistarne l'amore), ha un momento di titubanza, ma subito prevale in lui il bisogno di non venir meno alla parola data:


mas esto está concertado
y lo primero es el alma159.


Peggio ancora, il Lorenço de Los cinco Galanes si trova a dover risolvere un sottile quanto comico caso de honra: un corteggiatore di sua moglie entra in casa di lui e lo prega di guardargli le spalle. Il povero marito, interdetto, esce in parole che suonano parodia di tanti soliloqui analoghi, che si svolgevano sulle scene del teatro maggiore:


Ve aquí empeño bien dificultoso
la amistad de un amigo aquí me llama
—134→
y a estotra parte mi deshonra clama,
pues vença la amistad eternamente,
pues soy noble, soy cuerdo, soy valiente160.


Parrebbe addirittura la satira di certi lavori di Rojas, come No hay amigo para amigo, Sin honra no hay amistad, o il più celebre Cada cual lo que le toca, in cui, per l'appunto, veniva dibattuto il problema dei rapporti fra onore ed amicizia.

Comunque è pur sempre il medesimo atteggiamento di diffidenza verso certe forme esasperate del senso dell'onore, verso l'impegno sciocco ed irrazionale, che così di frequente appare nelle commedie. E se, nei passi ora esaminati, la questione è affrontata solo per inciso, nell'Entremés de las galeras de la honra ne vien fatta una trattazione diretta e, per così dire, panoramica.

L'intento di questo lavoro è scopertamente pedagogico: a tre casi di onore assurdamente puntual, ne vengono contrapposti altri tre in cui la soluzione del caso viene raggiunta in maniera spiccia e popolaresca, improntata ad una visione più sana del problema Ejemplaridad negativa ed ejemplaridad positiva: dal contrasto ecco nascere, alla maniera consueta di Moreto, la comicità. E' ben vero che, in questo caso, il comportamento lodevole, più che a vera razionalità è improntato a buon senso, ad una forma insomma più istintiva ed intuitiva. Si tratta di una discreción popolaresca, di una capacità un po' grossolana di adeguarsi alle circostanze e di risolvere le questioni. Non si può dunque affermare che le varie   —135→   soluzioni corrispondano esattamente all'ideale di Moreto; anzi, in ciascuna di esse s'incontra un che di paradossale, dietro cui è avvertibile il sorriso dell'autore. Gli è che Moreto doveva attenersi alle regole del genere, per cui sarebbe stato inconcepibile introdurre damas e caballeros, col rischio, inoltre, di limitare notevolmente gli effetti comici. Pertanto, tratti i suoi eroi dal popolo, li nobilita al punto da farne dei modelli, ma non tanto da farne dei personaggi seri.

Fatte dunque le debite astrazioni, possiamo affermare che l'ejemplaridad dell'entremés non differisce, se non in aspetti marginali, da quella delle commedie. Basterebbe, d'altronde, per averne conferma, rileggere le battute con cui la Borja apre e chiude il lavoro. La prima, quasi un prologo, accenna all'irrazionalità di un siffatto comportamento:


Los que al pundonor atienden,
sin faltar jamás en nada,
vengo yo a echar en galeras
porque paguen su ignorancia.


Nella finale, con un tono di commiserazione, la donna conclude:


A ¿señor Alcalde? escuche,
todos quantos aquí están
darán la vida, por no
perder su puntualidad.


Nel terzo personaggio poi, la fanciulla che i genitori vogliono spingere al chiostro, è rappresentata l'antitesi di molte eroine delle commedie. Mentre queste infatti si ribellano di fronte a consimili imposizioni,   —136→   rivendicando il proprio diritto alla scelta non solo dello stato, ma anche dello sposo, quella, dinanzi ad una prospettiva del genere si ritrae inorridita:


Va de restro Satanás:
pues la obediencia a mis padres,
¿y el miedo reverencial?


Sicché anche per lei a ragione la Borja dovrà ripetere il solito ritornello:


Forçada de la honra
a remar, a remar161.


La presenza di un elemento satirico ben definito, facente capo ad un determinato mondo ideologico dell'autore, induce a collocare Moreto sulla scia di Quevedo entremesista, sebbene il suo tono sia, evidentemente, più blando. D'altronde un chiaro richiamo alla Hora de todos è reperibile nell'Entremés de la Campanilla162. Al suono di un magico campanello, le persone rimangono immobili, fissate nel gesto e nell'atteggiamento in cui il suono le ha colte. Un vanesio è sorpreso nell'atto di lamentarsi col sarto di talune imperfezioni dell'abito; un galán mentre sta per farsi capire una borsa di denaro dalla sua dama; due valientes sul punto di duellare; due donne nell'istante in cui stanno per gozzovigliare alle spalle d'uno sciocco; ed infine Escamilla mentre sta per inghiottire il primo boccone della cena. Una musica provvidenziale opera il disincanto ed il meccanismo della vita riprende a girare163.

Sono dunque varie ed innegabili le reminiscenze   —137→   chevedesche, ma anche attraverso questa breve esposizione è facile scorgere come la rielaborazione della Hora de todos sia stata condotta in modo del tutto personale. La hora coglie i personaggi nel momento esasperato di un'azione, senza arrestarli, anzi sospingendoli verso atteggiamenti a volte più convulsi sino a mostrare, al di là delle pure apparenze, il loro volto più autentico. Moreto non è tanto acre né tanto profondo: si limita a fissare i suoi personaggi, mi una specie d'istantanea, nel gesto più comico, e scenicamente più efficace, di un'azione riprovevole: DonBraulio con la mano sulla piega dell'abito, l'uomo con la borsa sospesa a mezz'aria, la donna col braccio teso per afferrarla e così via.

Queste differenze non si spiegano soltanto col passaggio dalla narrazione alla rappresentazione, ma provengono dalla diversa prospettiva in cui i due autori amano collocare i loro personaggi. Mentre Quevedo scava nell'intimo della spiritualità umana, negando validità alle apparenze, Moreto proprio in queste fa consistere l'essenza della personalità.

Pertanto i suoi personaggi tendono a condensare il loro carattere ed il loro modo d'agire in un atteggiamento peculiare cui restano fedeli, nelle commedie, per tutta, o quasi tutta, la durata dell'opera164.

Ed ecco che nell'entremés, il quale, per la sua stessa struttura, esige essenzialità e comporta una maggior libertà fantastica, questa tendenza moretiana si fa concreta, visiva, fino a cristallizzarsi nell'immobilità di un gesto particolarmente significativo.

Tanto è caro a Moreto questo gioco, che non esita a ripeterlo in altri entremeses, come La Perendeca   —138→   e Los Organos y el Relox, anche quando l'intento satirico è del tutto scomparso. Chè, se la fissità dei personaggi moretiani è la diretta conseguenza di taluni presupposti morali dell'autore, non vi è estranea una particolare sensibilità estetica, la quale si compiace della grazia insieme ingenua ed artificiosa che nasce da queste composizioni. E questa componente rimane: è innegabile infatti che, negli entremeses ora ricordati, accanto ad altri motivi, un certo gusto figurativo presiede alla composizione dei gruppetti di personaggi raffiguranti un orologio o un camino.

La comicità si sviluppa su analoghe direttrici: nel caso de La Campanilla nasceva dall'irrazionale comportamento dei personaggi, mentre nelle due ultime piezas prende spunto dall'assurda inverosimiglianza dei gruppetti che non possono trarre in inganno nessuno all'infuori dei tontos, i Vegetes e l'Alcalde.

Proseguendo su questa strada, Moreto giunge a comporre l'Entremés del retrato vivo; trovata originalissima, per cui riunì in un unico personaggio l'ingannato e l'ingannatore, la finta immagine ed il credulone che la scambia per vera.

E' un interessante caso, diremmo oggi, di sdoppiamento della personalità, per cui l'ingenuo Juan Rana, indottovi dalla moglie, crede d'essere il ritratto di se stesso. Perciò se ne rimane immobile ed insensibile di fronte ai corteggiatori accolti dalla moglie come sotto i pizzicotti dei burloni, deciso ad interpretare bene la parte che crede sua.

Juan Rana appare come il colmo dell'irrazionalità, la quintessenza della necedad moretiana: lo si potrebbe   —139→   definire la rappresentazione simbolica, in chiave patologica e caricaturale, dell'uomo che, privatosi della razionale visione delle cose, ha rinunziato a se stesso.

Alla stessa stregua, la comicità dell'assurdo incontra qui una delle sue manifestazioni più notevoli, ai margini del surrealismo, in quell'incrociarsi delle due realtà, entrambe presenti allo spirito del protagonista.

Questo procedimento, trasferito dal piano dell'azione a quello verbale, crea il gioco scintillante dei tre bailes, tre capolavori del genere, del Conde Claros, di Lucrecia y Tarquino e del Rey Don Rodrigo y la Caba.

Nella sua forma più elementare e realistica, un siffatto gioco verbale trova varie espressioni nelle scene che abbiamo analizzate del Don Diego, di Industrias contra finezas, de Las travesuras de Pantoja, nonché in quell'Entremés de la burla de Pantoja, y el Doctor, che è praticamente la trascrizione della scena più comica dell'ultima commedia.

Ma i tre Bailes di cui stiamo parlando sviluppano il motivo in una forma più audace e surrealistica. I personaggi qui usano un linguaggio non tanto confuso ed oscuro quanto apertamente assurdo, intessuto d'espressioni correnti, tratte dalla parlata familiare o dai romances più popolari ed introdotte nel dialogo senza alcuna apparente ragione. La sorpresa che colpisce lo spettatore per l'improvviso, illogico inserimento di battute del genere viene ad essere naturalmente la fonte principale della comicità di queste piezas. Attraverso una minuziosa analisi di esse è possibile cogliere tutte le sfumature di questo procedimento.   —140→   Da forme più volgari, come nella chiusa del Conde Claros:

YNF.
que le pides al pueblo
porque perdone sol fa mi re
CONDE
rábanos y lechugas
y alcaparrones sol fa mi re.

(vv. 173 sgg.)                


si giunge per vari gradi ad al tre più raffinate ed insieme più comiche. Ecco Collatino che incita ad uccidere Lucrezia;


todos á mi Ymitación
dadlé con un puñalito,
y dabalé con él azadoncito
y dabalé con el azadón.


(Entr. de Lucrecia y Tarquino, vv. 153 sgg.)                


Ed ecco l'assurda risposta di Lucrezia al marito:

COL.º
Muger, di aquí quien ló hizo,
para que al instante muera.
L.ª
Añasco el de Talavera,
aquel Hidalgo postizo165.

(Ibid., vv. 137 sgg.)                


Come si vede, tra le due battute non c'è altro legame che quello della rima; non diversamente nel Rey Don Rodrigo y la Caba:

REY
Estoy tal
que por ti el pecho se ahila.
CABA
De las mudanzas de Gila
que enfermo que anda Pasqual166.

  —141→  

Vari motivi contribuiscono a determinare il clima comico di questi lavori, non ultimo la degradazione dei nobili personaggi al livello richiesto dall'entremés ed il conseguente tono parodistico167. Ma crediamo fuor di dubbio che l'elemento essenziale, e fonte primaria della comicità, sia da ricercarsi proprio nell'intersecarsi continuo delle due realtà (quella della vicenda e quella delle battute stravaganti), che determina un clima di allucinazione farsesca.

A questo punto il mondo del teatro minore moretiano appare come il rovesciamento di quello delle commedie: questo realistico, dominato dalla razionalità o con la tendenza costante a sfociare in essa; quello tendenzialmente surreale ed illogico fino al punto da dissolversi nell'assurdo.

E quanto la commedia tendeva a livellare e a comporre reale ed ideale, ragione e fantasia, altrettanto questi bailes ora esaminati, e taluni entremeses, aspirano a scinderli, creando un'atmosfera di contrasti stridenti.

Nulla doveva pertanto riuscire più comico agli occhi di Moreto di questi mondi inverosimili, in cui la logica che pur sempre presiede al comportamento ed ai rapporti umani, anche se a volte in forme malcerte e nebulose, pare spezzarsi e sovvertirsi.

Cosicché, anche quando ogni intento morale è bandito da esse, queste piezas s'inquadrano ugualmente negli schemi mentali del nostro autore e mantengono un loro carattere di esemplarità negativa: di rappresentazioni cioè dì quanto v'è di assurdamente ridicolo in quel che non può e non deve essere.



  —145→  

ArribaAbajoCapitolo IV

Influenza della precettistica sulla tecnica drammatica di Moreto


Parecchie delle posizioni fin qui esaminate indicano un atteggiamento di diffidenza verso ogni forma della realtà, cui fa riscontro la predilezione per una visione piana e consueta della vita168.

Ad eccezione delle commedie de santos, in cui l'autore fa intervenire il soprannaturale (ma l'ingenuità quasi grottesca di questa miracolistica è una riprova della sua scarsa attitudine a concepire situazioni del genere169) il meraviglioso è quasi assente dalla sua opera e non è casuale il fatto che una delle rare volte in cui compare sia nelle Travesuras de Pantoja, dove l'inverosimiglianza è programmatica come fonte di comicità.

Questo atteggiamento, che Moreto ebbe comune con altri drammaturghi di scuola calderoniana, appare in lui particolarmente vivo e lascia intendere una sua familiarità con la precettistica dell'epoca.

Non diversamente da quel che accadde in Italia, le poetiche spagnole del Cinque e Seicento si rifacevano   —146→   al testo di quella aristotelica ed era pertanto logico che, nonostante gli sforzi di alcuni eruditi più aperti alle nuove idee, si mantenessero in sostanziale disaccordo con le formule più vivacemente innovatrici, quali la poesia di Góngora ed il teatro di Lope de Vega.

Era la normale reazione del classicismo e del conservatorismo che, meno dichiaratamente ma con altrettanta evidenza, informava spesso le rampogne dei moralisti (quasi sempre gesuiti, pertanto d'educazione aristotelico-tomista). Quell'insistere, ch'essi facevano, sull'inverosimiglianza del teatro è motivo tanto apertamente aristotelico che è superfluo soffermarsi ad analizzarlo; ma anche nell'accusa di bassezza morale non è difficile reperire, tradotta in termini morali, la classica distinzione fra personaggi e passioni nobili ed ignobili, cui si accosta l'altra fra stile umile ed elevato.

A tale principio è riconducibile l'affermazione di Suárez de Figueroa, che nei teatri si rappresentavano «comedias escandalosas, con razonados obscenos y concetos humildísimos», che «allí se pierde el respeto a los Príncipes y el decoro a las reinas»170; motivo che ritorna nel rimprovero mosso da Bartolomé Leonardo de Argensola ai drammaturghi che non si peritavano di «aplebeyar los ánimos gentiles»171. Le stesse norme informavano gli scritti di coloro che vedevano con disappunto personaggi ignobili assumere parti di rilievo nella condotta dell'azione172 o divenire addirittura i protagonisti di un'intera pieza, come accadeva nell'entremés173.

Né deve sembrare strano che le medesime argomentazioni   —147→   venissero usate, in senso favorevole, dai fautori del teatro: così Don Melchor de Cabrera y Guzmán174 e l'anonimo Discurso apologético175 insistono sulla proprietà dei caratteri rappresentati, che è ancora un modo di rifarsi al capitolo XV della Poetica.

E, in generale, dominano quei tradizionali concetti della commedia specchio della vita e ritratto dei costumi che, sia pure attraverso la mediazione di altri autori (Cicerone, Terenzio, Petronio ecc.) sono formule peripatetiche riconducibili al ponderoso principio della mimesi aristotelica.

Non si vuole affermare che ogni difensore o detrattore del teatro avesse sott'occhi l'opera del filosofo antico, ma e indubbio che questa faceva sentire assai spesso la sua influenza, diretta o indiretta che fosse. Basterebbe pensare all'interpretazione morale che si può dare proprio alla distinzione fra tragedia e commedia, in cui s'inserisce quella suaccennata fra personaggi nobili ed ignobili. L'affermazione d'Aristotele, secondo cui i poeti più austeri rappresentavano azioni nobili e di nobili personaggi, mentre i più vili rappresentavano azioni di gente dappoco, non poteva essere tanto facilmente scaricata del suo significato morale176.

Potrebbe forse maggiormente stupire che l'accusa d'inverosimilitud si rivestisse di significati morali; ma occorre pensare che verosimile ed inverosimile furono spesso assunti in un'accezione più o meno ampia di razionale o d'irrazionale, sino ad avvicinarsi ai valori morali del vero e del falso.

Certamente quando dagli scritti dei moralisti passa   —148→   alle poetiche vere e proprie, il problema morale della verosimiglianza si fa meno esplicito, pur senza scomparire mai, o si attenua, più modestamente, in una formula normativa. Rimane tuttavia il rovello della critica cinquecentesca e secentesca, problema di fondo cui, volenti o nolenti, devono ricollegarsi tutti coloro che hanno una posizione da difendere.

Le concezioni più geniali, in questo campo, sono logicamente quelle degli innovatori; di un Tirso, di un Lope e di quanti altri seguirono l'interpretazione naturalista di cui discorre il Menéndez y Pelayo177. In quest'ambiente si svilupparono le intuizioni di «vero poetico», che spezzavano i confini troppo angusti del verosimile tradizionale. Le quali erano interpretazioni della Poetica forse non meno lecite di quelle date dagli umanisti più conservatori, ma avevano il torto (almeno agli occhi degli oppositori) di rielaborare troppo liberamente il testo classico e soprattutto di sottolineare un ammodernamento di esso in conformità delle nuove esigenze; il che si risolveva, in fondo, in una maliziosa confutazione dell'autorità del filosofo.

Le voci più autorevoli rimanevano pertanto quelle dei teorici di più stretta osservanza aristotelica -o tali nelle intenzioni- anche perché le loro opere, nascendo da una più intensa frequentazione dei classici, apparivano più ricche di dottrina e non di rado rivelavano una più rigorosa impostazione critica.

Tuttavia, anche in questo campo, le possibilità d'interpretazione si disponevano su di una gamma relativamente vasta, che abbracciava posizioni idealistiche e realistiche (le quali sono, infine, i due poli   —149→   entro cui sempre si sono mossi gli interpreti della Poetica, dal Robortello ai giorni nostri)178, che, trasferite sul piano morale, comportavano orientamenti diversi in senso edonistico o pedagogico.

Il testo d'Aristotele lascia adito a questa molteplicità d'interpretazioni, ed è naturale che, in questa incertezza, ogni epoca abbia tentato di spiegarselo in conformità con le opinioni dominanti.

Questo è l'aspetto che più c'interessa ai fini della nostra indagine, perché ci pare di scorgere, pur tra oscillazioni ed incertezze, una linea evolutiva che, da interpretazioni intinte d'idealismo edonistico dell'ultimo Cinquecento, conduce a posizioni man mano più realistiche e pedagogiche nel corso del primo cinquantennio del secolo seguente.

Per la verità non si tratta in genere di elaborazioni molto personali, poiché gli spunti più salienti delle varie analisi sono pur sempre rappresentati da proposizioni d'Aristotele, talvolta tradotte alla lettera. La varietà delle posizioni nasce piuttosto dall'insistenza o, più di frequente, dalla scelta e dall'accostamento di queste frasi.

Il punctum dolens di tutti i trattati era dunque, com'è risaputo, il concetto di mimesi e non solo per le sue implicanze morali di cui s'è detto, ma soprattutto perché è quello che effettivamente offre il destro ad interpretazioni opposte. E non è fuor di luogo pensare che già nel testo originale esistesse una certa qual titubanza.

Ma soprattutto c'era in Aristotele il riferimento ad un complesso di oggetti e d'idee, agli Endoxa, che, familiari al mondo greco, passarono inosservati nei secoli XVI e XVII179.

  —150→  

Per lo scrittore controriformista esisteva poi un'altra serie di problemi, che non hanno più ragione d'essere, almeno in quella forma, in una concezione moderna dell'arte. Problemi morali sostanzialmente, che s'enucleavano appunto dalla diversa valutazione del verosimile: ché, ove dal verosimile s'escludesse il vero, non solo si veniva ad autorizzare la licenza morale della poesia, ma ci si vedeva costretti (come accadde infatti il Robortello) ad accedere ad una concezione puramente edonistica di essa.

Perciò i commentatori spagnoli d'Aristotele assunsero posizioni in prevalenza realistiche, benché sul principio si facessero sensibili tentativi per attenuarle, lasciando ancora ampio spazio alla fantasia del poeta.

Alcuni, come il Rengifo, giungono ad ammettere che il vero possa essere oggetto della poesia, ma quasi in via subordinata, e che pertanto il compito essenziale del poeta sia fingir (benché s'affretti a ripudiare il mentir e le patrañas portentosas)180. Pur sulla scia dello Scaligero, da cui liberamente traduce, l'autore già lascia intendere la preoccupazione di non escludere totalmente il vero e soprattutto di negare la liceità artistica del falso e dell'irrazionale. Su questa linea si manterranno pur sempre gli interpreti idealistici, come il Carvallo ed il Pinciano.

Il primo pone sullo stesso piano, quali oggetti della poesia, cosas verdaderas o fingidas; ma, dopo avere accennato ai due generi di finzioni, verosímiles y fabulosas, cerca di rivendicare immediatamente i diritti della verità affermando che questa rimane pur sempre lo scopo principale, tanto che, in caso di ficciones   —151→   fabulosas, si nasconde dietro il velo di tropos, alegorías y parábolas. Come si vede, il tentativo di conciliazione fra mimesi aristotelica e morale cristiana si sviluppa ancora in maniera ingenua, sulla linea di una poetica più medioevale che umanistica181.

Il Pinciano ebbe invece, secondo il Menéndez y Pelayo, il merito di formulare un completo sistema letterario; tuttavia non va esente, neppure lui, da titubanze ed oscillazioni, che nascono dall'incapacità di comporre, su di un piano filosofico, moralità ed edonismo. Forse per un'oscura consapevolezza di essa, dapprima il Pinciano formula proposizioni di sapore prettamente realistico: imitar, remedar e contrahacer sono per lui assolutamente sinonimi, tanto che non si perita di addurre, come esempio, l'atteggiamento imitativo del fanciullo182.

In pratica però non riesce a mantenere a lungo questa posizione e ben presto s'avvia verso un più deciso idealismo, dapprima assegnando al verosimile un vastissimo campo d'azione, che abbraccia lo que es y no es183 ed infine giungendo ad espressioni che parrebbero identificare il verosimile col fantastico: Es tan necesaria la verisimilitud en doctrina de Aristóteles, que el poeta deue dexar lo possible no verisímil, y seguir lo verisímil, au[n]que impossible184.

Ora tutte queste affermazioni discendono dalla Poetica: dal capitolo IV le considerazioni sul fatto «naturale» dell'imitazione, ivi compreso l'esempio del fanciullo: dal IX i concetti seguenti. Quest'ultimo capitolo fu il più tormentato e quello da cui, anche per le difficoltà del testo, poterono derivare le opinioni più disparate.

  —152→  

E' cosa indubbia che, isolando talune affermazioni della Poetica, contenute in questo capitolo e altrove, vi si può trovare conforto alle opinioni espresse dal Pinciano. Non a tutte, s'intende: che l'identificazione del verosimile con l'esistente (e, potremmo sottintendere, l'accaduto) e l'inesistente (ossia, probabilmente, il possibile ad accadere) non trova riscontro in Aristotele, il quale lo concilia esclusivamente col secondo. Altrimenti più non avrebbe senso il raffronto fra storia e poesia, in cui egli distingueva nettamente fra cose accadute e cose che potrebbero accadere; e le accadute accoglieva nella poesia solo a patto che si sottomettessero alla legge di verosimiglianza e di necessità; ossia a patto che, oltre ad esser potute accadere, risultassero anche possibili su di un piano non puramente empirico, ma anche logico.

Sennonché, nel corso dell'opera, veniva ad ammettere, ma quasi per inciso, anche l'irrazionale ed impossibile, giustificandolo in termini di volgare credibilità e di forza persuasiva derivante da varie cause che non staremo ad elencare. Ecco dunque come la proposizione dell'interprete spagnolo può trovar corrispondenza nel testo greco; ma a condizione di dimenticare o distorcere lo spirito che anima l'opera, attribuendo valore sostanziale a ciò che era in gran parte accessorio e, per così dire, incidentale.

Ma non è di questo che vogliamo parlare: solo c'interessa sottolineare che quel tanto di forzatura nelle concezioni del Pinciano risponde allo scopo di spostare il più possibile (in quell'età e con quelle concezioni) l'accento sul significato alogico della verosimiglianza.

  —153→  

D'altra parte un siffatto procedimento, alla pari d'altri che si vedranno in seguito, non era del tutto ingiustificato: poiché, com'è stato osservato185, Aristotele stesso confonde l'immaginabile, proprio della fantasia, con l'universale e l'astratto della scienza, ossia della razionalità.

E quest'orientamento del Pinciano è confermato dalla sua dichiarata preferenza verso gli argomenti inventati su quelli storici o mitici, nel che, come osserva il Menéndez y Pelayo, l'autore s'allontana apertamente da Aristotele186.

Sul medesimo piano ancora si trovano le sue concezioni intorno ai caratteri: Si el poeta pintase yguales como los hombres son, carescerìan del mouer a admiración, la qual es una parte importantísima... para el deleyte187; dove sono da rilevare due interessanti posizioni.

Anzitutto il rimaneggiamento del testo aristotelico, là dove esso suggeriva al tragediografo di nobilitare i personaggi pur senza venir meno alla somiglianza, e questo in armonia col principio della grandezza dei personaggi tragici; il Pinciano, al quale la norma della coerenza tragica era indifferente, introduce l'altro dell'admiración, di stampo tipicamente barocco e di derivazione italiana, ma che era al contempo più estrinseco e più favorevole ad una marcata idealizzazione del personaggio188.

In secondo luogo è ravvisabile il ritorno di quella concezione edonistica che dapprima aveva tentato di eliminare, sebbene, alla luce di precedenti affermazioni, sia necessario limitarne la portata189.

Prima di chiudere questi rapidi accenni alla Philosophía   —154→   antigua, è però necessaria un'opportuna precisazione; per quanto idealistica possa sembrare la posizione del Pinciano, è comunque ben lontana dalla sensibilità moderna. L'elemento di fantasia che si può scorgere nelle sue interpretazioni del verosimile, rimane pur sempre, per così dire, rapportato alla realtà. Il verosimile impossibile, l'idealizzazione dei caratteri, l'admiración non superano comunque i limiti dell'amplificazione e deformazione barocca del reale, ed hanno ben scarsa somiglianza con i concetti d'intuizione e di trasfigurazione poetica delle estetiche novecentesche. Tanto che il Pinciano non ha scrupolo di definire disparates, alla maniera del canonico cervantino (un classicheggiante anche lui), i libri di cavalleria e le favole milesie, precisamente perché no tienen imitación y verisimilitud190.

E forse le maggiori impennate sono piuttosto da ricondurre ad un'esaltata ammirazione per la poesia, la quale, toccando lo que es y no es, è, nelle sue parole, superiore alla stessa metafisica191; affermazione, come si vede, caldamente sentimentale nella sua così poco filosofica formulazione.

Certamente però, il passaggio dalla Philosophía antigua alle Tablas poéticas del Cascales, pubblicate un ventennio dopo, non solo ci pone dinanzi ad una mente meno fervida, ma anche rivela un maggior bisogno di concretezza. Imitar -afferma l'autore- es, representar, y pintar al viuo las acciones de los hombres, naturaleza de las cosas y diuersos generos de personas, de la misma manera que suelen ser, y tratarse192.

Quel che è particolarmente interessante in questa definizione della mimesi è la sua formulazione condotta   —155→   non sull oi(=a a\n ge/noito della Poetica, ma sul to\ w(j e)pi\ to\ polu\ gino/menon della Retorica. Ora non è tanto significativa la diversità d'espressione (che, peraltro, è, nel secondo caso, meno incline al fantastico) quanto proprio il riferimento alla Retorica. Leggere la Poetica di Aristotele in chiave di retorica (sulla strada aperta dal Brocense) significa chiudere definitivamente la porta alle interpretazioni fantastiche ed edonistiche e puntare verso una posizione realistica e pedagogica.

La quale è notevolmente ribadita quando il Cascales polemizza col Pinciano per la diffidenza che questi mostrava nei confronti della storia. Che anzi, soggiunge l'autore delle Tablas, l'azione realmente accaduta è più efficace a commuovere di quella inventata, purché si sia svolta secondo le leggi dell'arte; altrimenti esso q[ue] falta lo á de suplir el Poeta, ampliando, quitando, mudando, como más convenga a la buena imitación193.

Dove insomma il Pinciano, con la sua predilezione verso le azioni immaginarie, si preoccupava di difendere le facoltà inventive del poeta, il Cascales, indottovi anche da interessi oratori (il «movere» della retorica), si levava a tutelare i diritti della realtà, pur riconoscendo all'arte certi specifici attributi.

Gli è che il Pinciano si muoveva in un ambito più rigorosamente estetico ed il Cascales, mosso da preoccupazioni morali e retoriche, tendeva a trasformare la distinzione aristotelica fra storia e poesia in una serie di precetti pratici. In realtà tale distinzione non era solo pragmatica, bensì anche teoretica: ché la storia era per lo Stagirita pura constatazione di   —156→   fatti, la poesia interpretazione: per questo l'aveva definita «qualcosa di più filosofico», come filosofica, cioè logica, era la legge del verosimile e del necessario; cosicché, tra l'affermazione di Aristotele che, quando il poeta prende tra le mani il fatto storico, ne diviene egli stesso il creatore, e l'ampliar, quitar, mudar del Cascales c'è davvero una notevole distanza.

Tuttavia, quando affrontò una seconda volta l'argomento, nell'epistola dedicata a Lope ed informata ad un'appassionata difesa del teatro, Cascales si rifece con maggior puntualità al testo aristotelico ed introdusse la comparazione fra storia e poesia negli stessi termini usati dal filosofo, con la conseguente distinzione fra universale e particolare. E, procedendo, giunse fino ad ammettere la liceità di fingirlo todo. Ma ecco allora, nel vuoto lasciato dal vero storico, farsi strada il vero logico: De aquí se echa de ver que tomado un suceso como naturaleza lo comenzó y acabó, le hallarémos muchas imperfecciones, y ésas es menester enmendarlas con el arte, y perfeccionarlas de manera que no le falte circunstancia necesaria para que aquella obra parezca y sea consumada. Infine la verità riappare postulata come istanza moralistica, poiché, debajo de aquel argumento fingido [il poeta] nos pone un espejo y una imágen de la verdad. Sicché, ed ecco di quale verità si tratta, se rappresenta la pace, ne indica las excelencias, se la liberalità el bien y gloria que el hombre alcanza usando bien de la liberalidad194.

Non diversamente avviene quando si passa alla disamina delle costumbres (cioè dei caratteri). La legge artistica della coerenza, profonda ed articolata in   —157→   Aristotele, si appiattisce nella norma psicologica e moralistica dell'igualdad: La igualdad pide, q[ue] aquel a quien el Poeta le pintare iracundo, le lleue iracundo hasta el cabo: a quien afable, a quien valiente, a quien justo, a quien cauteloso ni mas ni menos. La spiegazione di quest'esigenza è formulata secondo l'etica aristotelica e si fonda appunto sul principio che las costumbres, y actiones prouienen del habito, y el habito es constante, y siempre se sustenta de la misma manera...195

D'ora innanzi l'interesse dei trattatisti sarà quasi sempre orientato in questo senso: appianare il testo antico, piegandolo ad interpretazioni più correnti ed arginarlo, al di fuori di sicuri valori filosofici, entro i limiti di una precisa codificazione.

Così J. A. González de Salas, desumendo approssimativamente da Aristotele, tenta una nuova più accessibile spiegazione del concetto di verosimiglianza, introducendo il criterio di credibilità.

Come già il Pinciano, egli contrappone possibile a verosimile, giungendo a formulare proposizioni di forte sapore idealistico, nelle quali è avvertibile una netta diffidenza verso l'intrusione del razionale in poesia. Anzi, per dimostrar la sua tesi, non si fa scrupolo di rimaneggiare il testo aristotelico, separando, ed anzi opponendo fra loro, verosimile e necessario, che là apparivano quasi sempre congiunti come due aspetti di una medesima istanza di razionalità: Es mas propio de el Poeta cantar cosas falsas i mentirosas, como sean verisimiles, que aquellas, que no siendolo, fuessen verdaderas, i necessarias196.

Accostando il termine più scopertamente logico   —158→   (necesario) alle cosas verdaderas, in contrapposizione all'altro (verisímil), maggiormente suscettible d'interpretazione alogica, dava così chiaramente a divedere un ritorno a posizioni meno razionali e meno realistiche. Non si tratta però che di un'intuizione fugace, subito temperata dalle parole seguenti: las Possibles repugnan a la credulidad muchas veces, i esto no puede succeder a las Verisimiles197.

Ora, benché Aristotele usi il termine credibile solo in determinati casi, non è tuttavia fuor di luogo attribuirgli un valore all'incirca equivalente a quello del verosimile: tutt'al più si potrebbe osservare che l'addurre la credibilità a giustificazione della verisimiglianza significava deviare la questione dal piano logico a quello psicologico, cui corrisponderebbe uno spostamento dell'asse del problema, diretto non più tanto verso il poeta quanto verso il suo pubblico; e parallelamente significava, ancora una volta, appellarsi alla Retorica198.

Comunque rimane il fatto che la questione, la quale ne pareva a tutta prima sgombra, si ricarica di motivi intellettualistici.

I quali rientrano di pieno diritto, quando l'autore affronta, in termini sostanzialmente aristotelici, benché più facili e più correnti, la distinzione fra poesia e storia, dove, forse per la maggior aderenza al testo, ritroviamo congiunte l'idea di verosimiglianza e di necessità: il poeta, dice González de Salas, Imita y Representa la Accion de Alexandro, no como el la hizo, sino como era Verisimil o Necessario que la hiciera mejor199.

Malgrado dunque talune affermazioni (chissà poi   —159→   se del tutto consapevoli), l'autore non pare discostarsi troppo dalla posizione del Cascales, posto che non si tratti addirittura della stessa cosa.

Non deve perciò meravigliare se troviamo perfino rivalutazioni della realtà, non solo naturale, ma anche storica, quando afferma che le cose accadute sono più efficaci alla purificazione degli affetti, o quando tratta dei caratteri. Anzi, in quest'ultimo caso, l'adesione allo spirito e perfino alla lettera della Poetica, è, in chi l'aveva talvolta rimaneggiata con disinvoltura, indice di pari adesione concettuale: la Expression de las Costumbres ha de ser Imitada con aquella eminencia i aumento, que los pintores ponen en los retratos: pues procuran que queden parecidos, dexandolos mejorados de como es el original200.

Una maggiore chiarificazione in direzione realistica e razionale viene compiuta da Antonio López de Vega, il trattatista cronologicamente e spiritualmente più vicino a Moreto (la sua opera fu pubblicata nel 1641, quando il nostro autore stava compiendo le sue prime prove di commediografo).

Riprendendo la classica distinzione fra possibile e verosimile, egli perviene ad una più netta determinazione dei due concetti, insieme ad una più viva caratterizzazione logica di essi. Biasima quei drammaturghi che, dopo aver intrecciato vicende inverosimili, si difendono affermando che sono possibili in natura. Ciò, secondo l'autore, deriva da una confusione di concetti: ...no todo lo posible es verisimil: teniendo lo primero tan anchos terminos, qua[n]to es lo que cabe en el poder de la Naturaleza, ò del Arte: i no siendo mas lo segundo, que lo que de ordinario suele   —160→   suceder: si no lo mismo individualmente, lo que parezca (digamoslo assi) de aquella casta: bie[n] que dispuesto, i sazonado de forma, que tenga allí lugar alguna novedad: allanandose assi aquel dificil concurso de la admiracion, i verisimilitud, cuya hermandad tanto encomiendan á los Poetas los Maestros del Arte201.

López de Vega evita le interpretazioni personali e ricerca, come già il Cascales, nella Retorica una spiegazione meno ardua e più normativa: lo que de ordinario suele suceder è traduzione anche più letterale del testo aristotelico. Inoltre, più decisamente del Cascales, abbandona la via delle rielaborazioni e delle meditazioni sulla Poetica, la quale, a conclusione di un processo già in atto da tempo, cessa praticamente d'esser letta come opera teoretica, ma diviene il semplice punto di partenza per una precisa codificazione.

Inquadrata in questo schema, la questione della mimesi, con le altre che le sono connesse, cessa di essere totalmente oggetto di un'indagine filosofica, per divenire una pacifica norma pratica: gli stessi riferimenti alla retorica ne sono una conferma.

Proprio per questo motivo, la definizione s'è fatta chiarissima, quasi triviale: il possibile è tutto ciò che può accadere (quindi anche l'eccezionale), mentre il verosimile è ciò che vediamo accadere abitualmente entro i limiti della normalità. Il carattere puramente pratico e consuetudinario di questa distinzione è ribadito dall'espressione seguente, con la quale si tenta appunto una più precisa delimitazione, della normalità attraverso lo schematismo della classificazione per categorie. Razionalità dunque anche questa, ma discesa   —161→   dall'altezza di un principio logico al piano d'una norma pratica.

Forse ancor più interessante è il concetto seguente, dell'hermandad di admiración e verisimilitud. Per il Pinciano l'ammirazione nasceva dall'esorbitanza dei caratteri sul dato meramente realistico: il López de Vega tempera questa posizione, riducendo l'admiración a dato essenzialmente strutturale e stilistico che nasce, per così dire, nell'ambito della stessa verosimiglianza, ossia della realtà consueta, e si svolge parallelamente ad essa.

Era logico che, con tali premesse, anche il suo atteggiamento nei confronti della storia fosse assai più favorevole di quello dei suoi predecessori. Egli non solo le riconosce la facoltà di tramutarsi in poesia, ma attenua di molto, quando non annulli, le possibilità di rielaborazione che il Cascales ancora concedeva al poeta. Tali possibilità circoscrive a fatti contingenti e secondari, soprattutto a quelli non trasmessi dalla storia, ma esige fedeltà alla sostanza dell'avvenimento: resultando destas limitaciones el no quedar la fabula inverisimil202.

Ed è interessante che, mentre veniva ribadito quest'atteggiamento più razionale e realistico, ci si riavvicinava con maggior puntualità al testo aristotelico, che per l'appunto affermava la necessità di rimanere fedeli alla tradizione storica e mitica, affinché i fatti narrati risultassero più credibili.

Le norme formulate dagli ultimi trattatisti, da quest'ultimo in particolare, avevano le carte in regola per trovare rispondenza in Moreto, tanto più se si pensa che lo scritto del López de Vega non era solo   —162→   un'esposizione di precetti, ma nasceva in margine ad una polemica, che pervade infatti l'opera, contro il teatro del suo tempo: e così scarsi parevano all'autore gli ingegni equilibrati fra i suoi contemporanei, che aveva dedicato il libro A los pocos cuerdos, i desengañados varones203.

Descrivere vicende che abbiano la parvenza della comune realtà, ma variarle opportunamente con trovate ingegnose; trasfigurare ed idealizzare i caratteri dei personaggi, senza però eludere i dati della realtà; riferire il fatto storico nella sua essenza, e tuttavia abbellirlo e razionalizzarlo; conciliare, in una parola, reale ed ideale, pare dunque l'aspirazione della più recente precettistica, nella quale sono pertanto da ravvisare i caratteri distintivi dell'epoca.

Era un'estetica, peraltro, che non disconosceva la realtà del teatro spagnolo, tant'è vero che si mostrava parecchio indulgente verso le violazioni delle unità e tentava un'interpretazione abbastanza ampia delle distinzioni fra i generi drammatici; tuttavia esigeva al contempo che questo teatro sapesse anche rinnovarsi dall'interno, mostrandosi maggiormente ligio ai presupposti di Aristotele, o almeno all'interpretazione che ne veniva data.

E come essa era chiaramente influenzata dalla letteratura contemporanea, così questa doveva, a lungo andare, lasciarsene influenzare a sua volta.

Moreto, così sensibile ad ogni codificazione razionale, non poteva non concordare con quest'aspetto dell'aristotelismo. Non solo mostrò la sua predilezione per vicende che potessero rientrare nella logica della vita ordinaria, non solo evitò di falsare i fatti   —163→   storici, a differenza di quanto accadeva nel suoi modelli204, ma fu pure vicino ai trattatisti contemporanei nel tentativo di conciliare istanze realistiche ed idealistiche.

Se infatti in tutto il teatro secentesco è reperibile la coesistenza dei due piani, raramente essa raggiunge l'equilibrio che si realizza nell'opera moretiana.

I precedenti commediografi, compreso Calderón, avevano a lungo insistito, chi più chi meno, sul contrasto fra la realtà e l'ideale, affinché, dalla conoscenza della frattura tra i due piani e dell'instabilità dei loro rapporti, nascesse l'opportuno desengaño.

Per Moreto invece, già sappiamo che la sua somma aspirazione era verso l'equilibrio e che il desengaño non nasceva per lui tanto dal contrasto quanto dalla luce della razionalità. Pertanto, fedele ancora una volta alle sue fondamentali esigenze, laddove altri poteva sfruttare l'elemento di contrasto, egli volle invece comporre in unità ed equilibrio. Quindi, unendo reale ed ideale, non più giustapposti né contrapposti ma fusi, giunse a creare quel suo inconfondibile clima d'ambienti e personaggi stilizzati, fermo ed immutabile in quel punto d'incontro fra i due piani, che è appunto la stilizzazione.

Infatti, per cominciare dai personaggi, essi obbediscono, quasi senza eccezione, alla legge dell'igualdad; compaiono sulla scena, colti e fissati in un loro atteggiamento caratteristico, tratteggiati nelle loro linee essenziali ed immutabili, da cui non accennano ad allontanarsi, se non, talvolta, nelle scene finali, in cui il repentino mutamento del personaggio giova a risolvere la vicenda. Mutamento che invero raramente   —164→   coincide col momento culminante di un'evoluzione psicologica, ma per lo più è il prodotto di un chiarimento razionale.

Preoccupato di mantenere le sue creature entro i limiti di una tale rigorosa coerenza, spesso Moreto ne fissa in precedenza i lineamenti caratteristici, attraverso una preliminare presentazione, di solito inclusa nel discorso introduttivo della prima scena. Così il personaggio appare già sufficientemente definito: se è intervenuta un'evoluzione psicologica, questa è descritta come un antefatto, congiuntamente al riassunto delle principali vicende, ed esso non dovrà più modificarsi. Carlos, nel Desdén, descrive, ad apertura di scena, il suo innamoramento avvenuto per gradi, dall'indifferenza iniziale al trionfo dell'amore. Il poeta si è così liberato il campo dalla necessità di sviluppare il motivo amoroso di Carlos per poter concentrare la sua attenzione sulla razionale linearità di lui.

Questo è il caso generale: i personaggi raramente s'innamorano nel corso della commedia, ma il loro amore appartiene all'antefatto; se in qualche caso accade il contrario, l'innamoramento, nella forma di inclinación, si verifica all'inizio. Non sopravvengono, nel corso dell'opera, nuovi amori, anche se vari equivoci posson far sorgere le gelosie infondate.

Come nei casi d'amore, così in tutti gli altri, fino alle due categorie fondamentali della discreción 'e della grosería: il discreto, per la stessa natura della sua virtù, è coerente ed immobile nella maniera più rigorosa; il grosero o il necio, se non perdurano nel loro atteggiamento per l'intera commedia, si ravvedono proprio quando sta per calare la tela.

  —165→  

Fedeli dunque alla loro prefissata psicologia, esasperatamente coerenti, tuttavia racchiudono un loro nascosto dinamismo. La razionalità da cui sono pervasi si manifesta come una viva aspirazione all'equilibrio interiore che riflette ed al contempo influenza l'equilibrio generale dell'opera. Hanno dunque anche essi una loro drammaticità, ma per così dire velata e sottintesa, che non si estroflette negli atteggiamenti e tanto meno incide sull'azione; una drammaticità la quale si concentra appunto nell'ansia di equilibrio e che, per sua stessa natura, ogni qual volta si trasferisce all'esterno, si risolve sul nascere in movimenti controllati.

Il muoversi piano ed armonico di queste figure appare dunque, a questa luce, il frutto di continue parziali conquiste d'equilibrio, sino alla conquista finale, per cui si raggiunge contemporaneamente l'equilibrio definitivo del personaggio e della vicenda da lui vissuta. I continui appelli alla lucidità razionale che pervadono le battute di queste commedie sono appunto l'espressione di questo particolare dramma.

Pertanto non divengono astrazioni: sono semplicemente degli esseri eccezionali secondo i nostri criteri, ma, per dirla con gli aristotelici, possibili secondo la legge della verosimiglianza. Possibili non nella sfera della vita quotidiana, ma in quella società che Moreto e Gracián ed i loro contemporanei si erano costruita e che pareva trovare convalida nelle brillanti apparenze di cui s'ammantava il mondo dell'aristocrazia. Pertanto, in questa particolare prospettiva, personaggi di tal genere non dovevano apparire tanto eccezionali quanto lo sono ai nostri occhi. Ed è certo   —166→   che, quando i precettisti richiedevano al poeta di trattare le cose della realtà de la misma manera que suelen ser y tratarse, come Cascales, o di rivolgersi, secondo la definizione di López de Vega, a lo que de ordinario suele suceder, non intendevano formulare una poetica del verismo, poiché era per essi implicita la coscienza dei limiti di quella particolare realtà da loro proclamata. Limiti d'ambienti sociali ed anche d'interpretazione: perché chiedere all'artista secentesco di ritrarre la realtà, o anche solo di rivolgersi ad essa con la disincantata freddezza di un positivista significherebbe compiere un paradossale anacronismo.

In ultima analisi, a prescindere dalle particolari sfumature che essa assume in Moreto, si tratta di quella speciale forma di realismo di cui discorre l'Auerbach, che si svolgeva fin dall'antichità classica, fondandosi sulla legge intoccabile della separazione degli stili (la quale aveva trovato in Aristotele il suo diffusore). Per essa il quotidiano ed il popolare, ricopiati fedelmente, non possono divenire oggetto di una rappresentazione seria e, per contrapposizione, il nobile ed il superiore tendono naturalmente verso l'idealizzazione205.

Entro questi limiti, il personaggio di Moreto sorge dal grembo della realtà, anche se, sottoposto ad un processo di trasfigurazione, si rarefà nella stilizzata perfezione delle sue doti o nella linearità dei suoi difetti.

Siffatte caratteristiche del personaggio si riflettono sulla trama, che procede disciplinata e lineare, logica insomma, nella sua sostanza, sebbene equivoci ed intrighi provvedano a movimentarla; è quindi, questa, una delle principali risorse della commedia moretiana. Ed è, tuttavia, anche il suo limite: questa coerenza   —167→   genera un senso d'incompletezza umana e rischia di lasciare una vaga impressione di freddezza.

Il personaggio moretiano è unilaterale, è privo di verità psicologica: la sua coerenza è rigida e quasi schematica, non nasce da quella discordia concors che lo psicologo sa cogliere nella poliedricità dell'animo umano, ma dalla pregiudiziale fedeltà ad una fissata linea di condotta.

Perciò ci pare assai poco convincente l'elogio che la critica, dal Fernández Guerra206 al Gassier207, alla Kennedy208, all'Hurtado y Palencia209, al Pfandl210, concordemente ha tributato a Moreto, d'aver saputo eccellere nell'analisi psicologica e nella pittura dei caratteri. Psicologi assai più attenti di lui furono, per limitarci ai maggiori, Lope, Calderón, Tirso; quest'ultimo soprattutto. Si pensi ai personaggi tirsiani, dai più drammatici del Condenado e del Burlador ai più leggeri di tante commedie di enredo (El Vergonzoso en Palacio, per citare un esempio dei più significativi): con le loro incertezze, i loro dubbi, le loro debolezze, hanno in sé una coerente individualità, ma tale coerenza è duttile e sinuosa, è umana.

Quel medesimo contrasto ragione-passione, o discreción-grosería, contribuisce invece a circoscrivere il personaggio moretiano entro limiti più angusti, a fornirlo d'un limitato numero d'attributi, laddove la lotta fra passione e passione e fra virtù e vizio consentiva di spaziare nella molteplicità dei casi e nelle infinite sfumature dell'animo.

Queste affermazioni trovano la loro riprova nel fatto che nessuno dei personaggi delle rielaborazioni acquista maggior validità psicologica nei confronti dei   —168→   modelli. Per meglio dire, un certo approfondimento psicologico si può scorgere in quelle modificazioni apportate da Moreto allo scopo di giustificare meglio una situazione e conseguentemente un gesto o un atto del personaggio; tuttavia, se ne esce avvantaggiata la logica del comportamento, la complessità del carattere e l'umanità della figura restano intatti. Quelli che erano nel modello i dati specifici della sua personalità o rimangono inalterati o subiscono quel processo di stilizzazione che insieme li aggrazia e li intiepidisce.

Talvolta, su questa strada, Moreto giunge perfino alla tipizzazione, come proponeva Cascales. Tipici rischiano di apparire, per esempio, Carlos nella sua timidezza (Lo que puede la aprehensión), Félix nel suo senso della cavalleria (El Caballero) Alejandro nella sua fedeltà (El defenso ,de su agrado), César nella sua discrezione (El secreto entre dos amigos), Rugero nel suo senso dell'onore (Sin honra no hay valentía).

Analoghe osservazioni si posson fare per gli ambienti. Anch'essi obbediscono alla legge della verosimiglianza, entro quei particolari limiti di cui si parlava poc'anzi. Rari perciò gli ambienti idillico-pastorali, tanto cari alla precedente generazione, rare le scene di aldea; poco frequenti pure gli esterni. In genere la vicenda si svolge negli interni dei palazzi o delle case patrizie, che erano appunto gli abituali luoghi di ritrovo della società descritta da Moreto. Basterebbe scorrere le didascalie delle varie commedie: salón, sala, antesala, habitación, jardín (ma quest'ultimo, contrariamente a quel che si suole credere, assai meno frequente dei precedenti) sono i termini che più abitualmente   —169→   ricorrono. Tra gli esterni s'incontrano con una certa frequenza le strade cittadine, ma di solito in brevi scene e come teatro delle vertenze cavalleresche. Campagne, boschi, monti appaiono assai di rado e in genere fugacemente: non era lì che si svolgeva la vita ordinaria dell'aristocrazia del tempo.

Moreto non ebbe le preoccupazioni scenografiche di Calderón: le sue didascalie sono assai più generiche e schematizzate. Se al grande maestro interessava la puntualità della messa in scena, il nostro autore punta piuttosto sulla creazione d'un'atmosfera suggestiva, che è determinata, oltre che dalla scelta di particolari ambienti, dalla sapiente dosatura della luce e dall'intervento della musica.

Ombra e penombra sono ingredienti assai sfruttati in questo teatro; e, se nascondono valori simbolici, tuttavia sono anche particolarmente atte a favorire un clima lievemente artificioso e suggestivo.

Sul tutto, poi, si distende quasi sempre l'incanto della musica. Mucha música, consigliava il Teologo del Diálogo de las comedias;e non il solo Moreto accolse questo invito, poiché brani cantati appaiono in molte commedie contemporanee e più ancora in quelle della generazione successiva; d'altronde l'inserimento di canti non era sconosciuto al teatro precedente, a cominciare dallo stesso Lope che ne aveva dato vari brillanti esempi. Quel che è, però, caratteristico del nostro autore e l'uso intenso di essi e la loro funzione: per lui la musica non è solo ornato, è un elemento che contribuisce a rarefare l'ambiente, a sfumarne i contorni, a porlo, insomma, su quel piano intermedio di cui s'è parlato, in cui il dato reale non è   —170→   eluso, né totalmente trasceso, ma alleggerito e smussato.

Infatti, se anche talvolta si tratta solo di musica di circostanza (per danze, per nozze ecc.), molto spesso essa emana una sottile seduzione amorosa (p. es. nel Desdén o in Lo que puede la aprehensión) o giova a calmare dolori ed ansie211; pertanto, in armonia con la moralità di Moreto, le passioni s'attenuano e la commedia, immersa in un clima melodico, ne esce, anche per questa via, alleggerita.

Naturalmente anche altri motivi si riflettono nella creazione di questi ambienti: il gusto per l'eleganza e la signorilità, l'importanza data agli eleganti rapporti di convivenza (i quali non possono prescindere da ambienti adeguati che diano loro l'indispensabile consistenza), nonché il significato ejemplar che detti motivi vogliono assumere.

Connesso al problema della verosimiglianza è quello dell'unità, o meglio delle famose unità pseudoaristoteliche. Uno spirito così razionale ed ossequiante alle norme, ed insieme preoccupato di salvare l'equilibrio delle sue composizioni, non poté ignorare l'insegnamento aristotelico al riguardo, tanto più che esso penetrava nelle poetiche del tempo. Non applicò integralmente le regole delle unità, poiché troppo forte era la tradizione di libertà del teatro spagnolo e forse perché un'applicazione troppo rigida gli poteva sembrare a sua volta poco razionale; ma restrinse la libertà delle precedenti opere e conciliò il più possibile unità e verosimiglianza, come d'altronde avevano insegnato il Cascales ed il Pinciano, il quale ultimo sosteneva la necessità di una relativa unità di tempo   —171→   nel teatro, como no contruenga a la verisimilitud, la qual es todo de la poética imitación212. Il che non toglie che in qualche caso l'obbedienza alle regole sia fortemente sentita, come in La confusión de un jardín, in cui sono notevolmente rispettate l'unità di tempo e di luogo213. Ma la principale preoccupazione unitaria di Moreto la si avverte nell'intima struttura del suo teatro.

Dámaso Alonso, esaminando il teatro di Calderón, giunge alla conclusione che l'elemento strutturale più caratteristico di esso è quella che egli definisce la correlación bimembre (talvolta plurimembre). Tale dualismo, d'altronde, egli aggiunge, è di tutto il teatro spagnolo; così infatti ne schematizza il consueto conflitto: Un galán ama a una dama; otro galán (contragalán) ama a la misma dama; otra dama (contradama) ama al primer galán. Un tercer galán puede estar enamorado de la contradama (o de la dama), y una tercera dama, del contragalán (o del galán). Dama y contradama tienen sendos guardadores de honra (padres o hermanos). Galán y contragalán tienen, respectivamente, criado y contracriado; dama y contradama tienen, a su vez, criada y contracriada214.

Anche Moreto si attiene sostanzialmente a questo schema; tuttavia è avvertibile in lui un certo sforzo di svincolarsi dalla bimembrazione per raggiungere una maggiore unità. Anzitutto il chiasmo degli amori è più raro del consueto; ad eccezione di Yo por vos y vos por otro, la cui trama si svolge precisamente su questo incrocio; nelle altre commedie esso è solo una finzione (come nel Desdén) od un equivoco (come in La confusión de un jardín o Lo que puede la aprehensión).   —172→   Ciò deriva in gran parte dalla coerenza morale dei personaggi, dalla fedeltà maschile e dalla riservatezza femminile, che escludono la volubilità amorosa. Ma, anche su di un piano più vasto, è raro, come si diceva, scoprire un vero antagonismo fra i personaggi, a causa della loro differente statura morale.

Da tutto ciò consegue un dramma tendenzialmente unitario, che tuttavia non rinunzia agli schemi tradizionali.