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L'intimismo lirico di Antonio Machado

Gabriele Morelli

«E per ogni viaggio -sempre sul legno / del mio vagone di terza / voleggero di bagaglio»: sono versi di Antonio Machado, uno dei maggiori poeti spagnoli del Novecento, che traducono l'esperienza in treno del poeta fra la capilate e i licei di provincia dove svolge l'attività di docente di francese, e che riassumono anche quel vagabondare solitario accompagnato da una disposizione dell'animo che tutto filtra in accadimento interiore, rendendo melanconico e sognante ogni motivo di carattere esterno e naturalistico.

Machado fu un poeta libero dagli orpelli retorici di scuole letterarie (che in ogni modo conobbe e rielaborò nella sua opera), come fu libero dagli eccessi delle avanguardie e dalla violenza delle ideologie estremistiche (ma certo non fu estraneo alle vicende politiche della Spagna moderna), sensibile ai valori autentici della vita che trasforma in biografia intimistica in consonanza con una scrittura semplice ed essenziale, traducendo gli elementi fonici e cromatici in vibrazioni spirituali. Poeta umano e profondo -subito compreso da Pasolini, che ne rivendicò la lezione e la grandezza universale- ha trovato la sua giusta collocazione in Italia prima nell'opera appassionata, tanto esegetica come di traduzione, svolta con successo da Oreste Macrì (in particolare la terza edizione Lerici del 1969) e ora da Giovanni Caravaggi, nella collana mondadoriana dei Meridiani, Antonio Machado, Tutte le poesie e prose scelte, che accoglie la raccolta di liriche tradotte da Oreste Macrì, poi ristampata dalle edizioni Lettere nel 1994, mentre per le prose utilizza la versione di Eugenio Maggi e, per quanto concerne i commenti alle note e ai testi, si giova della collaborazione di Gaetano Chiappini (il volume apporta nuovi materiali ritrovati nel tempo, corregge errori e letture incerte trasmesse dalle precedenti edizioni).

Illuminanti sono i due saggi introduttivi di Caravaggi, che guidano alla comprensione della poesia e della rosa di Machado, dove lo studioso fin dalla prima pagina avverte del pericolo creato da una lettura che prediliga le singole raccolte, come Solitudini (1903), Campi di Castiglia (1912) o Nuove canzoni (1924).

Il libro Solitudini comprende 42 poesie; poi, nell'edizione del 1907, Solitudini. Gallerie. Altre poesie, aggiunge più di 50 liriche, in maggioranza inedite e in minor parte tratte dal volume precedente. La raccolta è segnata da una ricerca introspettiva e nostalgica dell'infanzia sivigliana, che consente la meditazione e l'evasione verso il sogno. Una tematica ereditata dal simbolismo francese e, più in generale, dalle correnti intimistiche peculiari anche al Modernismo spagnolo, ma si è anche tentati di fare accostamenti sul versante della nostra letteratura italiana -come fa Roberto Paoli nel suo lontano profilo machadiano pubblicato dal Castoro (1971)-, per cogliere analogie con i crepuscolari italiani, segnalando etimi e sintagmi comuni rintracciabili nella poesia di Corazzini e soprattutto in quella di Gozzano, sebbene nelle Solitudini prevalga un maggior senso introspettivo, ricco di simboli e contenuto contemplativo. In questo senso la rêverie è continuamente accompagnata dalla deambulazione, che subito si delinea in una doppia valenza, come movimento fisico nello spazio e come viaggio privilegiato dell'anima nella sua continua tensione di ricerca che finisce per confluire nel sogno.

Temi privilegiati di Machado sono quelli ereditati dalla tradizione simbolista, quale il momento temporale della sera in cui realtà e memoria si confondono ma, più concretamente, l'ora del tramonto che guarda alle forme evanescenti del mistero. Si tratta di uno stato meditativo che non si esaurisce nell'atto della contemplazione, bensì si carica di un sovrasenso che induce al superamento del dato transitorio e bozzettistico, con il risultato che l'immagine esterna si decanta assumendo valori spirituali e simbolici:

Yo voy soñando caminos

de la tarde. ¡Las colinas

doradas, los verdes pinos,

las polvorientas encinas!...

¡Adónde el camino irá?

Yo voy cantando, viajero

a lo largo del sendero...

-La tarde cayendo está-.


(XI)



Il ricorso alla memoria, in consonanza con un paesaggio familiare, favorisce il processo di trasfigurazione della realtà esterna: squarci evocativi della vita dell'infanzia -il giardino con limoni e i cipressi della casa sivigliana-, che la parola poetica di Machado trasforma in approdi intimistici:

El limonero lánguido suspende

una pálida rama polvorienta,

sobre el encanto de la fuente limpia,

y allá en el fondo sueñan

los frutos de oro...

Es una tarde clara,

casi de primavera,

tibia tarde de marzo,

que el hálito de abril cercano lleva;

y estoy solo, en el patio silencioso,

buscando una ilusión cándida y vieja


(VII)



Successivamente il libro delle Nuove canzoni accoglie le poesie del periodo 1917-1930 e richiama in parte il Machado nostalgico del primo periodo (ritornano i paesaggi lirici delle terre di Soria e dell'alta Andalusia, spazio reale e nel contempo mitico), ma si avverte anche un graduale inserimento di stilemi e motivi caratteristici della lirica popolare: sono versi brevi, essenziali, segnati dalla rima assonanzata, dove si manifesta una volontà di contenimento, attraverso l'impiego di forme esclamative, dell'effusione emotiva. Machado sperimenta forme nuove di espressione, che stemperano e depurano la linea sentimentale a vantaggio di una poesia sentenziosa ed epigrammatica, che però non diminuisce la sua essenza lirica tesa a valorizzare gli elementi più emblematici e simbolici della realtà.

Esiste infatti il Machado riflessivo e filosofico della produzione in prosa e teatrale, quest'ultima scritta in collaborazione con il fratello maggiore Manuel, rappresentante di spicco del modernismo ispanico. Si tratta del libro I complementari, e ancora della produzione dettata dagli apografi, personaggi immaginari come Juan de Mairena e Abel Sánchez, che dialogano con il poeta sulla problematica esistenziale e sull'esperienza della creazione poetica, e quindi rappresentano il corrispettivo dialettico dell'alterità dell'autore, che ha frequentato le lezioni di Henri Bergson al Collège de France, conosce le opere di Kant, Leibniz e Kierkegaard, e ammira il magistero intellettuale di Unamuno e Ortega y Gasset.

Il pensiero filosofico di Machado si nutre di riflessione e tolleranza nei confronti delle debolezze dell'uomo, ma non manca un venato scetticismo, che vediamo accentuarsi in prossimità dello scoppio della Guerra civile, a cui il poeta partecipa aderendo alla causa repubblicana.

Dopo la morte della giovane consorte Leonor, nel 1928 nasce il nuovo amore con Guiomar, pseudonimo di Pilar de Valderrama, che produce un cospicuo carteggio -in parte perduto- pubblicato in Italia da Giancarlo Depretis (Lettere a Pilar, Edizioni dell'Orso, Torino 1991), e i versi di Canciones a Guiomar. La relazione si conclude nel 1936 quando Pilar, a causa delle tensioni sociali che precedono la Guerra civile, abbandona la Spagna per rifugiarsi in Portogallo, a Lisbona e poi a Estoril, dove invano attende le lettere di risposta di Antonio. Il poeta, rifugiatosi con la famiglia a Valencia, soffre la separazione forzata dovuta al conflitto militare e dedica alla «diosa» lontana questo splendido sonetto:

De mar a mar entre los dos la guerra,

más honda que la mar. En mi parterre,

miro a la mar que el horizonte cierra.

Tú asomada, Guiomar, a un finisterre,

miras hacia otro mar, la mar de España

que Camoens cantara, tenebrosa.

Acaso a ti mi ausencia te acompaña,

a mi me duele tu recuerdo, diosa.

La guerra dio al amor el tajo fuerte.

Y es la total angustia de la muerte,

con la sombra infecunda de la llama

y la soñada miel de amor tardío,

y la flor imposible de la rama

que ha sentido del hacha el corte frío.


Torniamo al viaggiatore «leggero di bagaglio», nato a Siviglia nel 1875, e ricordiamo alcuni dati fondamentali della sua biografia: il suo trasferimento con la famiglia nel 1883 a Madrid, e ancora le frequentazioni delle tertulias letterarie della città, l'insegnamento negli istituti di Soria, Baeza, Segovia da dove, ogni fine settimana, il poeta fa ritorno nella capitale; infine, il rientro definitivo, a Madrid, ormai anziano. Nella capitale trascorre una vita semplice, tranquilla, scandita dall'attività della docenza e dedita alla lettura e alla creazione. Un itinerario esistenziale vissuto in grande solitudine («Oh, solitudine, mia sola compagna») ed esaltato dall'amore per l'adolescente Leonor, che il poeta sposa nel 1909, ma che muore tre anni dopo, gettandolo nella più profonda disperazione. Si risolleverà dal lutto solo in seguito alla conoscenza di Guiomar, di famiglia ricca e conservatrice, che accende la passione di Machado, che però è tormentato dal comportamento pudico e ritroso della musa, ispiratrice dei suoi ultimi versi d'amore.

Siamo ormai alla tragedia finale: nell'imminenza della caduta di Barcelona, il poeta, assieme alla vecchia madre e ad alcuni familiari, riesce a salire su un treno diretto a Collioure, sul confine francese, dove giunge in una stazione invasa da soldati e profughi. Malato di cuore e minato dalle sofferenze e viaggio, si spegne poco dopo, il 22 febbraio 1939. Nella tasca del cappotto lascia un foglietto in cui si legge: «Questi giorni azzurri e questo sole dell'infanzia».

De Soledades

Da Solitudini

III

   La plaza y los naranjos encendidos

con sus frutas redondas y risueñas.

   Tumulto de pequeños colegiales

que, al salir en desorden de la escuela,

llenan el aire de la plaza en sombra

con la algazara de sus voces nuevas.

   ¡Alegría infantil en los rincones

de las ciudades muertas!...

¡Y algo nuestro de ayer, que todavía

vemos vagar por estas calles viejas!


III

   La piazza e accesi aranci

con i frutti rotondi e sorridenti.

   Il tumulto dei piccoli scolari

che, all'uscire in disordine di scuola,

empiono l'aria della piazza in ombra

con il clamore delle fresche voci.

   Gioia infantile nei nascosti siti

delle morte città!...

E qualcosa di noi, di ieri, ancora

vediamo errare in queste vecchie strade!


V

Recuerdo infantil

   Una tarde parda y fría

de invierno. Los colegiales

estudian. Monotonía

de lluvia tras los cristales.

   Es la clase. En un cartel

se representa a Caín

fugitivo, y muerto Abel,

junto a una mancha carmín.

   Con timbre sonoro y hueco

truena el maestro, un anciano

mal vestido, enjuto y seco,

que lleva un libro en la mano.

   Y todo un coro infantil

va cantando la lección;

mil veces ciento, cien mil,

mil veces mil, un millón.

   Una tarde parda y fría

de invierno. Los colegiales

estudian. Monotonía

de la lluvia en los cristales.


V

Ricordo infantile

   Un vespro grigio e freddo

d'inverno. Gli scolari

studiano. Monotonia

della pioggia dietro i vetri.

   È lezione. Un cartellone

raffigura Caino

che fugge, e morto Abele,

vicino a una macchia rossa.

   Con timbro sonoro e cavo

tuona il maestro, un vecchio

malvestito, magro e scarno,

con un libro nella mano.

   E tutto un coro infantile

va cantando la lettura;

mille volte cento, centomila,

mille volte mille, un milione.

   Un vespro grigio e freddo

d'inverno. Gli scolari

studiano. Monotonia

della pioggia sui vetri.


VI

   Fue una clara tarde, triste y soñolienta

tarde de verano. La hiedra asomaba

al muro del parque, negra y polvorienta...

   La fuente sonaba.

   Rechinó en la vieja cancela mi llave;

con agrio ruido abriose la puerta

de hierro mohoso y, al cerrarse, grave

golpeó el silencio de la tarde muerta.

   En el solitario parque, la sonora

copla borbollante del agua cantora

me guió a la fuente. La fuente vertía

sobre el blanco mármol su monotonía.

   La fuente cantaba: ¿Te recuerda, hermano,

un sueño lejano mi canto presente?

Fue una tarde lenta del lento verano.

   Respondí a la fuente:

No recuerdo, hermana,

mas sé que tu copla presente es lejana.

   Fue esta misma tarde: mi cristal vertía

como hoy sobre el mármol su monotonía.

¿Recuerdas, hermano?... Los mirtos talares,

que ves, sombreaban los claros cantares

que escuchas. Del rubio color de la llama,

el fruto maduro pendía en la rama,

lo mismo que ahora. ¿Recuerdas, hermano?...

Fue esta misma lenta tarde de verano.

   -No sé qué me dice tu copla riente

de ensueños lejanos, hermana la fuente.

   Yo sé que tu claro cristal de alegría

ya supo del árbol la fruta bermeja;

yo sé que es lejana la amargura mía

que sueña en la tarde de verano vieja.

   Yo sé que tus bellos espejos cantores

copiaron antiguos delirios de amores:

mas cuéntame, fuente de lengua encantada,

cuéntame mi alegre leyenda olvidada.

   -Yo no sé leyendas de antigua alegría,

sino historias viejas de melancolía.

    Fue una clara tarde del lento verano...

Tú venías solo con tu pena, hermano;

tus labios besaron mi linfa serena,

y en la clara tarde, dijeron tu pena.

   Dijeron tu pena tus labios que ardían;

la sed que ahora tienen, entonces tenían.

   -Adiós para siempre la fuente sonora,

del parque dormido eterna cantora.

Adiós para siempre, tu monotonía,

fuente, es más amarga que la pena mía.

   Rechinó en la vieja cancela mi llave;

con agrio ruido abriose la puerta

de hierro mohoso y, al cerrarse, grave

sonó en el silencio de la tarde muerta.


VI

   Fu una sera luminosa, triste e sonnolenta

sera d'estate. L'edera sporgeva

dal muro del parco, nera e polverosa...

   La fonte sonava.

   Stridette nel vecchio cancello la mia chiave;

si aprì la porta con aspro rumore

di ferro rugginoso e, nel chiudersi, grave

colpì il silenzio della morta sera.

   Nel parco solitario, la sonora

strofa gorgogliante dell'acqua che cantava

mi diresse alla fonte. La fonte versava

sul marmo bianco la sua monotonia.

   La fonte cantava: Il mio canto di ora,

fratello, ti ricorda un sogno lontano?

Fu una lunga sera della lunga estate.

   Risposi alla fonte:

Non ricordo, sorella,

ma so che la tua strofa di ora è lontana.

   Fu questa stessa sera: versava il mio cristallo

come oggi sul marmo la sua monotonia.

Ricordi, fratello?... I mirti talari

che vedi ombreggiavano i limpidi canti

che odi. Del fulvo color della fiamma,

il frutto maturo pendeva sul ramo,

così come adesso. Ricordi, fratello?...

Fu questa stessa lunga sera d'estate.

   -Non so che mi dice la tua strofa ridente

di sogni lontani, sorella fonte.

   Io so che il tuo luminoso cristallo di letizia

già conobbe dell'albero il frutto vermiglio;

io so che è lontana l'amarezza mia

che sogna nella vecchia sera dell'estate.

   Io so che i tuoi begli specchi cantori

riflessero antichi deliri di amori:

ma narrami, fonte dalla lingua incantatrice,

narrami la mia lieta leggenda dimenticata.

   -Io non conosco leggende di antica letizia,

ma vecchie storie di malinconia.

    Fu una sera luminosa della lunga estate...

Tu venivi solo con la tua pena, fratello;

le tue labbra baciarono la mia linfa serena,

e nella sera luminosa dissero la tua pena.

   Dissero la tua pena le tue labbra che ardevano;

la sete che ora hanno, avevano allora.

   -Addio per sempre, fonte sonora,

cantante eterna del parco assopito.

Addio per sempre, la tua monotonia,

fonte, è più amara della mia pena.

   Stridette nel vecchio cancello la mia chiave;

s'aprì la porta con aspro rumore

di ferro rugginoso e, nel chiudersi, grave

risonò nel silenzio della morta sera.


VII

   El limonero lánguido suspende

una pálida rama polvorienta,

sobre el encanto de la fuente limpia,

y allá en el fondo sueñan

los frutos de oro...

Es una tarde clara,

casi de primavera,

tibia tarde de marzo,

que el hálito de abril cercano lleva;

y estoy solo, en el patio silencioso,

buscando una ilusión cándida y vieja:

alguna sombra sobre el blanco muro,

algún recuerdo, en el pretil de piedra

de la fuente dormido, o, en el aire,

algún vagar de túnica ligera.

   En el ambiente de la tarde flota

ese aroma de ausencia,

que dice al alma luminosa: nunca,

y al corazón: espera.

   Ese aroma que evoca los fantasmas

de las fragancias vírgenes y muertas.

   Sí, te recuerdo, tarde alegre y clara,

casi de primavera,

tarde sin flores, cuando me traías

el buen perfume de la hierbabuena,

y de la buena albahaca,

que tenía mi madre en sus macetas.

   Que tú me viste hundir mis manos puras

en el agua serena,

para alcanzar los frutos encantados

que hoy en el fondo de la fuente sueñan...

   Sí, te conozco, tarde alegre y clara,

casi de primavera.


VII

   Il limone sospende in abbandono

un ramo scolorito e polveroso

sopra il limpido incanto della fonte,

e là sul fondo sogna

l'oro dei frutti...

Sera così chiara,

quasi di primavera,

sera mite di marzo,

che d'aprile imminente reca l'alito;

io solingo, nel patio silenzioso,

in cerca d'una candida ed antica

illusione: sul muro bianco un'ombra,

qualche ricordo sulla balaustra

della fonte assopito, o dentro l'aria

un vagare di tunica leggiera.

   Fluttua nell'orizzonte della sera

quell'aroma d'assenza,

che all'anima splendente dice: mai,

e dice al cuore: spera.

   Quell'aroma che evoca i fantasmi

delle fragranze vergini e defunte.

   Sì, ti ricordo, sera lieta e chiara,

quasi di primavera,

o sera senza fiori, quando il vago

profumo mi recavi della menta

e del grato basilico,

che serbava mia madre nei suoi vasi.

   Tu mi vedesti immergere le pure

mani nell'acqua calma,

tese ai frutti incantati

che sognano nel letto della fonte...

   Sì, ti ricordo, sera lieta e chiara,

quasi di primavera.


IX

Orillas del Duero

   Se ha asomado una cigüeña a lo alto del campanario.

Girando en torno a la torre y al caserón solitario,

ya las golondrinas chillan. Pasaron del blanco invierno,

de nevascas y ventiscas los crudos soplos de infierno.

      Es una tibia mañana.

El sol calienta un poquito la pobre tierra soriana.

    Pasados los verdes pinos,

casi azules, primavera

se ve brotar en los finos

chopos de la carretera

y del río. El Duero corre, terso y mudo, mansamente.

El campo parece, más que joven, adolescente.

   Entre las hierbas alguna humilde flor ha nacido,

azul o blanca. ¡Belleza del campo apenas florido,

y mística primavera!

   ¡Chopos del camino blanco, álamos de la ribera,

espuma de la montaña

ante la azul lejanía,

sol del día, claro día!

¡Hermosa tierra de España!


IX

Rive del Duero

   S'è affacciata una cicogna sulla vetta campanaria.

Intorno alla torre volteggiano e alla casa solitaria

le rondinelle stridendo. Passaron del bianco inverno,

di nevicate e di tormente i crudi soffi d'inferno.

      Ecco un tiepido mattino.

La povera terra soriana il sole riscalda un pochino.

    Si passano i verdi pini,

quasi azzurri, e primavera

vedi erompere nei fini

pioppeti della strada

e del fiume. Scorre il Duero, terso e muto, dolcemente.

La campagna, più che giovane, svela un volto adolescente.

   In mezzo all'erbe è spuntato qualche umile fiore,

azzurro o bianco. Bellezza dei campi or ora in fiore,

e mistica primavera!

   Pioppi del Duero in riva e della strada bianca,

spuma della montagna

contro l'azzurro distante,

diurno sole, giorno brillante!

Bella terra di Spagna!


X

   A la desierta plaza

conduce un laberinto de callejas.

A un lado, el viejo paredón sombrío

de una ruinosa iglesia;

a otro lado, la tapia blanquecina

de un huerto de cipreses y palmeras,

y, frente a mí, la casa,

y en la casa, la reja,

ante el cristal que levemente empaña

su figurilla plácida y risueña.

Me apartaré. No quiero

llamar a tu ventana... Primavera

viene -su veste blanca

flota en el aire de la plaza muerta-;

viene a encender las rosas

rojas de tus rosales... Quiero verla...


X

   Alla piazza deserta

conduce un labirinto di stradette.

Da un lato, la muraglia vecchia e scura

d'una chiesa in rovina;

d'altro lato, il bianchiccio muro intorno

a un giardino di palme e di cipressi;

di fronte a me la casa,

nella casa la grata

dinanzi al vetro che leggero sfuma

la figura di lei dolce e ridente.

Ma me n'andrò. Non voglio

bussarti alla finestra... Primavera

ecco che arriva -la sua veste bianca

fluttua nell'aria della piazza morta-

per accender le rose

rosse dei tuoi rosai... Voglio vederla...


XXXVII

   ¡Oh, dime, noche amiga, amada vieja,

que me traes el retablo de mis sueños

siempre desierto y desolado, y solo

con mi fantasma dentro,

mi pobre sombra triste

sobre la estepa y bajo el sol de fuego,

o soñando amarguras

en las voces de todos los misterios,

dime, si sabes, vieja amada, dime

si son mías las lágrimas que vierto!

Me respondió la noche:

Jamás me revelaste tu secreto.

Yo nunca supe, amado,

si eras tú ese fantasma de tu sueño,

ni averigüé si era su voz la tuya,

o era la voz de un histrión grotesco.

   Dije a la noche: Amada mentirosa,

tú sabes mi secreto;

tú has visto la honda gruta

donde fabrica su cristal mi sueño,

y sabes que mis lágrimas son mías,

y sabes mi dolor, mi dolor viejo.

   ¡Oh! Yo no sé, dijo la noche, amado,

yo no sé tu secreto,

aunque he visto vagar ese, que dices

desolado fantasma, por tu sueño.

Yo me asomo a las almas cuando lloran

y escucho su hondo rezo,

humilde y solitario,

ese que llamas salmo verdadero;

pero en las hondas bóvedas del alma

no sé si el llanto es una voz o un eco.

   Para escuchar tu queja de tus labios

yo te busqué en tu sueño,

y allí te vi vagando en un borroso

laberinto de espejos.


XXXVII

   Oh, dimmi, amica notte, antica amata,

che mi porti la scena dei miei sogni

sempre deserta e squallida, e soltanto

col mio fantasma dentro,

povera ombra triste

sopra la steppa e sotto il sole ardente,

o sognante amarezze nelle voci

d'ogni mistero;

dimmi, se sai, antica amata, dimmi

se sono mie le lacrime che verso.

Mi rispose la notte:

Giammai mi rivelasti il tuo segreto.

Giammai io seppi, amato,

s'eri tu quel fantasma del tuo sogno,

né m'accertai se tua era la voce

oppure d'un ridicolo istrione.

   Dissi alla notte: Amata mentitrice,

conosci il mio segreto,

tu che hai veduto la profonda grotta

dove il mio sogno foggia il suo cristallo,

e sai che le mie lacrime son mie,

e sai la pena, la mia vecchia pena.

   Oh, io non so, disse la notte, amato,

ignoro il tuo segreto,

pur se ho visto vagare quel che dici

desolato fantasma, nel tuo sogno.

Io mi sporgo sull'anime se piangono

e ne ascolto la fervida preghiera,

umile e solitaria, che tu chiami

salmo verace;

ma nelle volte profonde dell'anima

non so se il pianto esprime voce o un'eco.

   Per ascoltar delle tue labbra i gemiti

ti cercai nel tuo sogno,

e ti vidi vagare in un confuso

labirinto di specchi.


LXXIV

   Tarde tranquila, casi

con placidez de alma,

para ser joven, para haberlo sido

cuando Dios quiso, para

tener algunas alegrías... lejos,

y poder dulcemente recordarlas.


LXXIV

   Sera tranquilla, quasi

con serenità d'anima,

per una nuova gioventù, o trascorsa

quando Dio volle, per

serbare alcune care gioie... lungi,

e poter ricordarle dolcemente.


XCIV

   En medio de la plaza y sobre tosca piedra,

el agua brota y brota. En el cercano huerto

eleva, tras el muro ceñido por la hiedra,

alto ciprés la mancha de su ramaje yerto.

   La tarde está cayendo frente a los caserones

de la ancha plaza, en sueños. Relucen las vidrieras

con ecos mortecinos de sol. En los balcones

hay formas que parecen confusas calaveras.

   La calma es infinita en la desierta plaza,

donde pasea el alma su traza de alma en pena.

El agua brota y brota en la marmórea taza.

En todo el aire en sombra no más que el agua suena.


XCIV

   Nel mezzo della piazza e sulla rozza pietra,

l'acqua sgorga incessante. Nel prossimo giardino

alto cipresso innalza, dietro il muro recinto

dall'edera, la macchia dei suoi rami stecchiti.

   La sera sta cadendo di fronte ai caseggiati

dell'ampia piazza, in sogno. Le vetrate rifulgono

con echi affievoliti di sole. Nei balconi

vi sono forme simili a dei teschi confusi.

   Infinita è la calma nella piazza deserta,

dove passeggia l'anima il suo spettro di pena.

L'acqua sgorga incessante nella conca marmorea.

In tutta l'aria in ombra solo l'acqua risuona.


De Campos de Castilla

Da Campi di Castiglia

XCVII

Retrato

   Mi infancia son recuerdos de un patio de Sevilla,

y un huerto claro donde madura el limonero;

mi juventud, veinte años en tierra de Castilla;

mi historia, algunos casos que recordar no quiero.

   Ni un seductor Mañara, ni un Bradomín he sido

-ya conocéis mi torpe aliño indumentario-,

mas recibí la flecha que me asignó Cupido,

y amé cuanto ellas pueden tener de hospitalario.

   Hay en mis venas gotas de sangre jacobina,

pero mi verso brota de manantial sereno;

y, más que un hombre al uso que sabe su doctrina,

soy, en el buen sentido de la palabra, bueno.

   Adoro la hermosura, y en la moderna estética

corté las viejas rosas del huerto de Ronsard;

mas no amo los afeites de la actual cosmética,

ni soy un ave de esas del nuevo gay-trinar.

   Desdeño las romanzas de los tenores huecos

y el coro de los grillos que cantan a la luna.

A distinguir me paro las voces de los ecos,

y escucho solamente, entre las voces, una.

   ¿Soy clásico o romántico? No sé. Dejar quisiera

mi verso, como deja el capitán su espada:

famosa por la mano viril que la blandiera,

no por el docto oficio del forjador preciada.

   Converso con el hombre que siempre va conmigo

-quien habla solo espera hablar a Dios un día-;

mi soliloquio es plática con este buen amigo

que me enseñó el secreto de la filantropía.

   Y al cabo, nada os debo; debéisme cuanto he escrito.

A mi trabajo acudo, con mi dinero pago

el traje que me cubre y la mansión que habito,

el pan que me alimenta y el lecho en donde yago.

   Y cuando llegue el día del último viaje,

y esté al partir la nave que nunca ha de tornar,

me encontraréis a bordo ligero de equipaje,

casi desnudo, como los hijos de la mar.


XCVII

Ritratto

   La mia infanzia: memorie d'un patio di Siviglia,

e d'un chiaro giardino in cui matura il limone;

la gioventù: vent'anni in terra castigliana;

la mia storia: vicende che non voglio evocare.

   Né don Juan seduttore, né un Bradomin io fui

-già conoscete il goffo abbigliamento mio-,

ma ricevei la freccia che mi assegnò Cupido

e amai quanto vi sia in quelle di ospitale.

   Gocce di giacobino sangue nelle mie vene,

ma zampilla il mio verso da sorgiva serena;

più che uomo alla moda, che sa la sua dottrina,

sono, nel miglior senso della parola, buono.

   Adoro la bellezza; nella moderna estetica

tagliai le vecchie rose dell'orto di Ronsard;

ma non amo i belletti dell'ultima cosmetica,

né son dei nuovi uccelli dei lirico trillare.

   Disprezzo le romanze dei turgidi tenori

ed il coro dei grilli che cantano alla luna.

A distinguer le voci dagli echi mi soffermo

e ascolto solamente, tra le voci, una sola.

   Son classico o romantico? Non so. Lasciar vorrei

il verso, come lascia la spada il capitano:

famosa per la mano virile che l'impugna,

non per l'arte sapiente del suo fabbro pregiata.

   Mi trattengo con l'uomo che viene sempre meco

-chi parla solo spera parlare un giomo a Dio-;

colloquio è il mio monologo con questo buon amico

che m'insegnò il segreto della filantropia.

   Nulla vi debbo, infine; voi a me quel che ho scritto.

Al mio lavoro attendo, col mio denaro pago

la veste che mi copre e la casa che abito,

il pane che mi nutre e il letto in cui mi giaccio.

   E quando il dì verrà dell'ultimo mio viaggio

e salperà la nave per non più ritornare,

mi troverete a bordo leggero di bagaglio

e sarò quasi nudo, come i figli del mare.


XCVIII

A orillas del Duero

    Mediaba el mes de julio. Era un hermoso día.

Yo, solo, por las quiebras del pedregal subía,

buscando los recodos de sombra, lentamente.

A trechos me paraba para enjugar mi frente

y dar algún respiro al pecho jadeante;

o bien, ahincando el paso, el cuerpo hacia adelante

y hacia la mano diestra vencido y apoyado

en un bastón, a guisa de pastoril cayado,

trepaba por los cerros que habitan las rapaces

aves de altura, hollando las hierbas montaraces

de fuerte olor -romero, tomillo, salvia, espliego-.

Sobre los agrios campos caía un sol de fuego.

   Un buitre de anchas alas con majestuoso vuelo

cruzaba solitario el puro azul del cielo.

Yo divisaba, lejos, un monte alto y agudo,

y una redonda loma cual recamado escudo,

y cárdenos alcores sobre la parda tierra

-harapos esparcidos de un viejo arnés de guerra-,

las serrezuelas calvas por donde tuerce el Duero

para formar la corva ballesta de un arquero

en torno a Soria. -Soria es una barbacana,

hacia Aragón, que tiene la torre castellana-.

Veía el horizonte cerrado por colinas

obscuras, coronadas de robles y de encinas;

desnudos peñascales, algún humilde prado

donde el merino pace y el toro, arrodillado

sobre la hierba, rumia; las márgenes del río

lucir sus verdes álamos al claro sol de estío,

y, silenciosamente, lejanos pasajeros,

¡tan diminutos! -carros, jinetes y arrieros-

cruzar el largo puente, y bajo las arcadas

de piedra ensombrecerse las aguas plateadas

del Duero.

El Duero cruza el corazón de roble

de Iberia y de Castilla.

¡Oh, tierra triste y noble,

la de los altos llanos y yermos y roquedas,

de campos sin arados, regatos ni arboledas;

decrépitas ciudades, caminos sin mesones,

y atónitos palurdos sin danzas ni canciones

que aún van, abandonando el mortecino hogar,

como tus largos ríos, Castilla, hacia la mar!

   Castilla miserable, ayer dominadora,

envuelta en sus andrajos desprecia cuanto ignora.

¿Espera, duerme o sueña? ¿La sangre derramada

recuerda, cuando tuvo la fiebre de la espada?

Todo se mueve, fluye, discurre, corre o gira;

cambian la mar y el monte y el ojo que los mira.

¿Pasó? Sobre sus campos aún el fantasma yerra

de un pueblo que ponía a Dios sobre la guerra.

   La madre en otro tiempo fecunda en capitanes

madrastra es hoy apenas de humildes ganapanes.

Castilla no es aquella tan generosa un día,

cuando Myo Cid Rodrigo el de Vivar volvía,

ufano de su nueva fortuna y su opulencia,

a regalar a Alfonso los huertos de Valencia;

o que, tras la aventura que acreditó sus bríos,

pedía la conquista de los inmensos ríos

indianos a la corte, la madre de soldados,

guerreros y adalides que han de tornar, cargados

de plata y oro, a España, en regios galeones,

para la presa cuervos, para la lid leones.

Filósofos nutridos de sopa de convento

contemplan impasibles el amplio firmamento;

y si les llega en sueños, como un rumor distante,

clamor de mercaderes de muelles de Levante,

no acudirán siquiera a preguntar ¿qué pasa?

Y ya la guerra ha abierto las puertas de su casa.

   Castilla miserable, ayer dominadora,

envuelta en sus harapos desprecia cuanto ignora.

   El sol va declinando. De la ciudad lejana

me llega un armonioso tañido de campana

-ya irán a su rosario las enlutadas viejas-.

De entre las peñas salen dos lindas comadrejas;

me miran y se alejan, huyendo, y aparecen

de nuevo ¡tan curiosas!... Los campos se obscurecen.

Hacia el camino blanco está el mesón abierto

al campo ensombrecido y al pedregal desierto.


XCVIII

Sulle rive del Duero

    Era di mezzo luglio. Un bellissimo giorno.

Io, solo, per le crepe del ghiareto salivo,

in cerca delle svolte nell'ombra, lentamente.

A tratti mi fermavo per asciugar la fronte,

per concedere qualche sollievo al petto ansante;

o forzando la marcia, con il corpo in avanti,

verso la mano destra arreso ed appoggiato

ad una mazza, a guisa di rustico vincastro,

m'inerpicavo ai colli che abitano i rapaci

delle alture, pestando l'erbe montane d'acre

odore -rosmarino e timo, salvia, spigo-.

Sugli aspri campi un sole di fuoco si gettava.

   Un avvoltoio d'ampie ali in maestoso volo

del cielo il puro azzurro scorreva solitario,

Io percepivo, lungi, un monte alto ed aguzzo,

e una tonda collina come scudo istoriato,

ed alture violette sopra la terra grigia

-come sparsi brandelli d'un vecchio ordigno bellico-,

le montagnuole calve per dove piega il Duero

per formare la curva balestra d'un arciere

intorno a Soria. -Soria è come un barbacane,

verso Aragona, della fortezza castigliana-.

Vedevo l'orizzonte recinto di colline

oscure, coronate di roveri e di querce;

spogli siti rupestri, qualche umile prato

dove il merino pascola, dove rumina il toro,

sull'erba inginocchiato; i margini del fiume

sfoggiare i verdi pioppi al chiaro sole estivo,

e silenziosamente, viandanti in lontananza,

piccolissimi! -carri, butteri e mulattieri-

passare il lungo ponte, e sotto le petrigne

arcate farsi oscure le acque inargentate

del Duero.

Il Duero il cuore di rovere attraversa

d'Iberia e di Castiglia.

Oh, terra triste e nobile,

terra degli altipiani, delle lande e dirupi,

di campi senza aratri, né boschi né ruscelli;

decrepite città, strade senza locande,

e attoniti villani senza balli né canti,

che vanno sempre, il misero focolare lasciando,

come i tuoi lunghi fiumi, Castiglia, verso il mare!

   Castiglia miserabile, ieri dominatrice,

avvolta nei suoi stracci, disprezza quanto ignora.

Aspetta, dorme o sogna? Il suo sangue versato

ricorda, quando aveva la febbre della spada?

Tutto si muove, scorre, divaga, corre o gira;

il mare e il monte mutano, e l'occhio che li guarda.

Passò? Vaga il fantasma, ancora nei suoi campi,

d'un popolo che Iddio metteva sulla guerra.

   Madre di capitani feconda in altri tempi,

matrigna è oggi appena di poveri braccianti.

Castiglia non è quella, sì generosa un tempo,

quando Myo Cid Rodrigo di Vivar ritornava,

superbo di recenti vittorie e di ricchezze,

per donare ad Alfonso la piana di Valencia;

che dopo l'avventura, che suggellò il valore,

degl'indiani fiumi immensi la conquista

richiedeva alla corte, la madre di soldati,

guerrieri e comandanti, che torneranno, carichi

d'argento e d'oro, in Spagna, su regi galeoni,

corvi nella rapina, nella lotta leoni.

Filosofi nutriti di zuppa di convento

contemplano impassibili il vasto firmamento;

se li ferisce in sogno, come suono remoto,

clamore di mercanti da porti levantini,

non penseran nemmeno a chiedere: che avviene?

E le porte di casa ha già aperto la guerra.

   Castiglia miserabile, ieri dominatrice,

ravvolta nei suoi stracci, disprezza quanto ignora.

   Va tramontando il sole. Dalla città lontana

mi giunge un armonioso rintocco di campana

-già le vecchie in gramaglie al rosario s'avviano-.

Di tra le rupi guizzano due donnole leggiadre;

mi guardano e dileguano fuggendo, e ricompaiono

nuovamente, curiose!... La campagna s'oscura.

Verso la strada bianca è aperta la locanda

sopra i campi imbruniti, sul ghiareto deserto.


CXIII

Campos de Soria

VI

   ¡Soria fría, Soria pura,

cabeza de Extremadura,

con su castillo guerrero

arruinado, sobre el Duero;

con sus murallas roídas

y sus casas denegridas!

   ¡Muerta ciudad de señores,

soldados o cazadores;

de portales con escudos

de cien linajes hidalgos,

y de famélicos galgos,

de galgos flacos y agudos,

que pululan

por las sórdidas callejas,

y a la media noche ululan,

cuando graznan las cornejas!

   ¡Soria fría! La campana

de la Audiencia da la una.

Soria, ciudad castellana

¡tan bella! bajo la luna.

VII

   ¡Colinas plateadas,

grises alcores, cárdenas roquedas

por donde traza el Duero

su curva de ballesta

en torno a Soria, oscuros encinares,

ariscos pedregales, calvas sierras,

caminos blancos y álamos del río,

tardes de Soria, mística y guerrera,

hoy siento por vosotros, en el fondo

del corazón, tristeza,

tristeza que es amor! ¡Campos de Soria

donde parece que las rocas sueñan,

conmigo vais!... ¡Colinas plateadas,

grises alcores, cárdenas roquedas!...

VIII

   He vuelto a ver los álamos dorados,

álamos del camino en la ribera

del Duero, entre San Polo y San Saturio,

tras las murallas viejas

de Soria -barbacana

hacia Aragón, en castellana tierra.

   Estos chopos del río, que acompañan

con el sonido de sus hojas secas

el son del agua, cuando el viento sopla,

tienen en sus cortezas

grabadas iniciales que son nombres

de enamorados, cifras que son fechas.

¡Álamos del amor que ayer tuvisteis

de ruiseñores vuestras ramas llenas;

álamos que seréis mañana liras

del viento perfumado en primavera;

álamos del amor cerca del agua

que corre y pasa y sueña,

álamos de las márgenes del Duero,

conmigo vais, mi corazón os lleva!

IX

   ¡Oh!, sí, conmigo vais, campos de Soria,

tardes tranquilas, montes de violeta,

alamedas del río, verde sueño

del suelo gris y de la parda tierra,

agria melancolía

de la ciudad decrépita,

me habéis llegado al alma,

¿o acaso estabais en el fondo de ella?

¡Gente del alto llano numantino

que a Dios guardáis como cristianas viejas,

que el sol de España os llene

de alegría, de luz y de riqueza!


CXIII

Campagne di Soria

VI

   Soria fredda, Soria pura,

principio d'Extremadura,

col suo castello guerriero,

rovinato, sopra il Duero;

con le muraglie ammuffite,

con le sue case annerite!

   Morta città di signori,

di soldati o cacciatori;

di blasonati portali,

di cento illustri casati,

e di veltri affamati,

di magri veltri esiziali,

che pulluano

in vicoli sporchi e torvi,

e a mezzanotte ululano,

quando gracchiano i corvi!

   Soria fredda! La campana

di Pretura batte l'una.

Soria, città castigliana

così bella, con la luna!

VII

   Colline inargentate,

grigi poggiuoli, rupi illividite,

per dove traccia il Duero

la curva di balestra intorno a Soria,

scuri querceti,

aspre piaghe petrose, calve sierre,

candide strade e pioppi lungo il fiume,

vespri di Soria mistica e guerriera,

nel profondo del cuore oggi per voi

sento tristezza, e la tristezza è amore!

Campi di Soria,

dove sembra che sognino le rocce,

meco andate! Colline inargentate,

grigi poggiuoli, rupi illividite!...

VIII

   Son tornato a vedere i pioppi d'oro,

i pioppi della strada sulla riva

del Duero, tra San Polo e San Saturio,

dietro le vecchie mura

di Soria -barbacane

verso Aragona, in terra castigliana.

    Questi pioppi del fiume, che accompagnano

col fruscio delle loro foglie secche

l'acqua sonante quando spira il vento,

hanno sulle cortecce

iniziali intagliate che son nomi

d'innamorati, cifre che son date.

O pioppi dell'amore, e ieri aveste

i vostri rami pieni d'usignuoli;

pioppi, domani voi sarete lire

del vento profumato a primavera;

voi, pioppi dell'amore presso l'acqua

che scorre e passa e sogna,

pioppi del Duero lungo le sue sponde,

con me venite, il cuore mio vi porta!

IX

   Campi di Soria, oh sì, con me venite,

vespri sereni, monti color viola,

alberati del fiume, sogno verde

del suolo grigio e della terra oscura,

acre malinconia

della città decrepita,

forse mi siete giunti dentro l'anima

o in essa già da tempo albergavate?

Genti dell'altipiano numantino,

che da pure cristiane Iddio serbate,

il sole della Spagna vi ricolmi

di letizia, di luce e di ricchezza!


CXV

A un olmo seco

   Al olmo viejo, hendido por el rayo

y en su mitad podrido,

con las lluvias de abril y el sol de mayo,

algunas hojas verdes le han salido.

   ¡El olmo centenario en la colina

que lame el Duero! Un musgo amarillento

le mancha la corteza blanquecina

al tronco carcomido y polvoriento.

   No será, cual los álamos cantores

que guardan el camino y la ribera,

habitado de pardos ruiseñores.

   Ejército de hormigas en hilera

va trepando por él, y en sus entrañas

urden sus telas grises las arañas.

   Antes que te derribe, olmo del Duero,

con su hacha el leñador, y el carpintero

te convierta en melena de campana,

lanza de carro o yugo de carreta;

antes que rojo en el hogar, mañana,

ardas de alguna mísera caseta,

al borde de un camino;

antes que te descuaje un torbellino

y tronche el soplo de las sierras blancas;

antes que el río hasta la mar te empuje

por valles y barrancas,

olmo, quiero anotar en mi cartera

la gracia de tu rama verdecida.

Mi corazón espera

también, hacia la luz y hacia la vida,

otro milagro de la primavera.


Soria, 1912

CXV

A un olmo secco

   Al vecchio olmo, spaccato dalla folgore

e nel mezzo marcito,

con le piogge d'aprile e il sole a maggio,

sono spuntate poche verdi foglie.

   Oh, l'olmo secolare sopra il colle

ch'è lambito dal Duero! La corteccia

bianchiccia da un gialligno musco è tinta

nel tronco putrefatto e polveroso.

   Come i pioppi canori, che sorvegliano

il cammino e la riva, non sarà

di rossicci usignuoli popolato.

   S'arrampica su esso di formiche

un esercito in fila, e nelle viscere

tramano i ragni le lor grigie tele.

   Olmo del Duero, prima che t'abbatta

con l'ascia il legnaiuolo, e il falegname

ti trasformi in un mozzo di campana,

stanga di carro o giogo di carretta;

prima che rosso nel camino arda

domani in qualche misera casetta

sul ciglio d'una strada;

prima che ti annienti un turbine e ti schianti

il soffio delle candide montagne;

prima che il fiume ti sospinga al mare

per valli e per burroni,

olmo, voglio annotare nei miei appunti

la grazia del tuo ramo rinverdito.

Anche il mio cuore aspetta,

alla luce guardando ed alla vita,

altro prodigio della primavera.


Soria, 1912

Traduzione di Oreste Macrì

Da Antonio Machado, Tulle le poesie e prose scelte, a cura di Giovanni Caravaggi, Meridiani Mondadori 2010, pp. CLXV-1.592.