L'intimismo lirico di Antonio Machado
Gabriele Morelli
«E per ogni viaggio -sempre sul legno / del mio vagone di terza / voleggero di bagaglio»
: sono versi di Antonio Machado, uno dei maggiori poeti spagnoli del Novecento, che traducono l'esperienza in treno del poeta fra la capilate e i licei di provincia dove svolge l'attività di docente di francese, e che riassumono anche quel vagabondare solitario accompagnato da una disposizione dell'animo che tutto filtra in accadimento interiore, rendendo melanconico e sognante ogni motivo di carattere esterno e naturalistico.
Machado fu un poeta libero dagli orpelli retorici di scuole letterarie (che in ogni modo conobbe e rielaborò nella sua opera), come fu libero dagli eccessi delle avanguardie e dalla violenza delle ideologie estremistiche (ma certo non fu estraneo alle vicende politiche della Spagna moderna), sensibile ai valori autentici della vita che trasforma in biografia intimistica in consonanza con una scrittura semplice ed essenziale, traducendo gli elementi fonici e cromatici in vibrazioni spirituali. Poeta umano e profondo -subito compreso da Pasolini, che ne rivendicò la lezione e la grandezza universale- ha trovato la sua giusta collocazione in Italia prima nell'opera appassionata, tanto esegetica come di traduzione, svolta con successo da Oreste Macrì (in particolare la terza edizione Lerici del 1969) e ora da Giovanni Caravaggi, nella collana mondadoriana dei Meridiani, Antonio Machado, Tutte le poesie e prose scelte, che accoglie la raccolta di liriche tradotte da Oreste Macrì, poi ristampata dalle edizioni Lettere nel 1994, mentre per le prose utilizza la versione di Eugenio Maggi e, per quanto concerne i commenti alle note e ai testi, si giova della collaborazione di Gaetano Chiappini (il volume apporta nuovi materiali ritrovati nel tempo, corregge errori e letture incerte trasmesse dalle precedenti edizioni).
Illuminanti sono i due saggi introduttivi di Caravaggi, che guidano alla comprensione della poesia e della rosa di Machado, dove lo studioso fin dalla prima pagina avverte del pericolo creato da una lettura che prediliga le singole raccolte, come Solitudini (1903), Campi di Castiglia (1912) o Nuove canzoni (1924).
Il libro Solitudini comprende 42 poesie; poi, nell'edizione del 1907, Solitudini. Gallerie. Altre poesie, aggiunge più di 50 liriche, in maggioranza inedite e in minor parte tratte dal volume precedente. La raccolta è segnata da una ricerca introspettiva e nostalgica dell'infanzia sivigliana, che consente la meditazione e l'evasione verso il sogno. Una tematica ereditata dal simbolismo francese e, più in generale, dalle correnti intimistiche peculiari anche al Modernismo spagnolo, ma si è anche tentati di fare accostamenti sul versante della nostra letteratura italiana -come fa Roberto Paoli nel suo lontano profilo machadiano pubblicato dal Castoro (1971)-, per cogliere analogie con i crepuscolari italiani, segnalando etimi e sintagmi comuni rintracciabili nella poesia di Corazzini e soprattutto in quella di Gozzano, sebbene nelle Solitudini prevalga un maggior senso introspettivo, ricco di simboli e contenuto contemplativo. In questo senso la rêverie è continuamente accompagnata dalla deambulazione, che subito si delinea in una doppia valenza, come movimento fisico nello spazio e come viaggio privilegiato dell'anima nella sua continua tensione di ricerca che finisce per confluire nel sogno.
Temi privilegiati di Machado sono quelli ereditati dalla tradizione simbolista, quale il momento temporale della sera in cui realtà e memoria si confondono ma, più concretamente, l'ora del tramonto che guarda alle forme evanescenti del mistero. Si tratta di uno stato meditativo che non si esaurisce nell'atto della contemplazione, bensì si carica di un sovrasenso che induce al superamento del dato transitorio e bozzettistico, con il risultato che l'immagine esterna si decanta assumendo valori spirituali e simbolici:
Yo voy soñando caminosde la tarde. ¡Las colinasdoradas, los verdes pinos,las polvorientas encinas!...¡Adónde el camino irá?Yo voy cantando, viajeroa lo largo del sendero...-La tarde cayendo está-.
(XI)
Il ricorso alla memoria, in consonanza con un paesaggio familiare, favorisce il processo di trasfigurazione della realtà esterna: squarci evocativi della vita dell'infanzia -il giardino con limoni e i cipressi della casa sivigliana-, che la parola poetica di Machado trasforma in approdi intimistici:
El limonero lánguido suspendeuna pálida rama polvorienta,sobre el encanto de la fuente limpia,y allá en el fondo sueñanlos frutos de oro...Es una tarde clara,casi de primavera,tibia tarde de marzo,que el hálito de abril cercano lleva;y estoy solo, en el patio silencioso,buscando una ilusión cándida y vieja
(VII)
Successivamente il libro delle Nuove canzoni accoglie le poesie del periodo 1917-1930 e richiama in parte il Machado nostalgico del primo periodo (ritornano i paesaggi lirici delle terre di Soria e dell'alta Andalusia, spazio reale e nel contempo mitico), ma si avverte anche un graduale inserimento di stilemi e motivi caratteristici della lirica popolare: sono versi brevi, essenziali, segnati dalla rima assonanzata, dove si manifesta una volontà di contenimento, attraverso l'impiego di forme esclamative, dell'effusione emotiva. Machado sperimenta forme nuove di espressione, che stemperano e depurano la linea sentimentale a vantaggio di una poesia sentenziosa ed epigrammatica, che però non diminuisce la sua essenza lirica tesa a valorizzare gli elementi più emblematici e simbolici della realtà.
Esiste infatti il Machado riflessivo e filosofico della produzione in prosa e teatrale, quest'ultima scritta in collaborazione con il fratello maggiore Manuel, rappresentante di spicco del modernismo ispanico. Si tratta del libro I complementari, e ancora della produzione dettata dagli apografi, personaggi immaginari come Juan de Mairena e Abel Sánchez, che dialogano con il poeta sulla problematica esistenziale e sull'esperienza della creazione poetica, e quindi rappresentano il corrispettivo dialettico dell'alterità dell'autore, che ha frequentato le lezioni di Henri Bergson al Collège de France, conosce le opere di Kant, Leibniz e Kierkegaard, e ammira il magistero intellettuale di Unamuno e Ortega y Gasset.
Il pensiero filosofico di Machado si nutre di riflessione e tolleranza nei confronti delle debolezze dell'uomo, ma non manca un venato scetticismo, che vediamo accentuarsi in prossimità dello scoppio della Guerra civile, a cui il poeta partecipa aderendo alla causa repubblicana.
Dopo la morte della giovane consorte Leonor, nel 1928 nasce il nuovo amore con Guiomar, pseudonimo di Pilar de Valderrama, che produce un cospicuo carteggio -in parte perduto- pubblicato in Italia da Giancarlo Depretis (Lettere a Pilar, Edizioni dell'Orso, Torino 1991), e i versi di Canciones a Guiomar. La relazione si conclude nel 1936 quando Pilar, a causa delle tensioni sociali che precedono la Guerra civile, abbandona la Spagna per rifugiarsi in Portogallo, a Lisbona e poi a Estoril, dove invano attende le lettere di risposta di Antonio. Il poeta, rifugiatosi con la famiglia a Valencia, soffre la separazione forzata dovuta al conflitto militare e dedica alla «diosa» lontana questo splendido sonetto:
De mar a mar entre los dos la guerra,más honda que la mar. En mi parterre,miro a la mar que el horizonte cierra.Tú asomada, Guiomar, a un finisterre,miras hacia otro mar, la mar de Españaque Camoens cantara, tenebrosa.Acaso a ti mi ausencia te acompaña,a mi me duele tu recuerdo, diosa.La guerra dio al amor el tajo fuerte.Y es la total angustia de la muerte,con la sombra infecunda de la llamay la soñada miel de amor tardío,y la flor imposible de la ramaque ha sentido del hacha el corte frío.
Torniamo al viaggiatore «leggero di bagaglio»
, nato a Siviglia nel 1875, e ricordiamo alcuni dati fondamentali della sua biografia: il suo trasferimento con la famiglia nel 1883 a Madrid, e ancora le frequentazioni delle tertulias letterarie della città, l'insegnamento negli istituti di Soria, Baeza, Segovia da dove, ogni fine settimana, il poeta fa ritorno nella capitale; infine, il rientro definitivo, a Madrid, ormai anziano. Nella capitale trascorre una vita semplice, tranquilla, scandita dall'attività della docenza e dedita alla lettura e alla creazione. Un itinerario esistenziale vissuto in grande solitudine («Oh, solitudine, mia sola compagna»
) ed esaltato dall'amore per l'adolescente Leonor, che il poeta sposa nel 1909, ma che muore tre anni dopo, gettandolo nella più profonda disperazione. Si risolleverà dal lutto solo in seguito alla conoscenza di Guiomar, di famiglia ricca e conservatrice, che accende la passione di Machado, che però è tormentato dal comportamento pudico e ritroso della musa, ispiratrice dei suoi ultimi versi d'amore.
Siamo ormai alla tragedia finale: nell'imminenza della caduta di Barcelona, il poeta, assieme alla vecchia madre e ad alcuni familiari, riesce a salire su un treno diretto a Collioure, sul confine francese, dove giunge in una stazione invasa da soldati e profughi. Malato di cuore e minato dalle sofferenze e viaggio, si spegne poco dopo, il 22 febbraio 1939. Nella tasca del cappotto lascia un foglietto in cui si legge: «Questi giorni azzurri e questo sole dell'infanzia»
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De Soledades | Da Solitudini |
III La plaza y los naranjos encendidos con sus frutas redondas y risueñas. Tumulto de pequeños colegiales que, al salir en desorden de la escuela, llenan el aire de la plaza en sombra con la algazara de sus voces nuevas. ¡Alegría infantil en los rincones de las ciudades muertas!... ¡Y algo nuestro de ayer, que todavía vemos vagar por estas calles viejas! | III La piazza e accesi aranci con i frutti rotondi e sorridenti. Il tumulto dei piccoli scolari che, all'uscire in disordine di scuola, empiono l'aria della piazza in ombra con il clamore delle fresche voci. Gioia infantile nei nascosti siti delle morte città!... E qualcosa di noi, di ieri, ancora vediamo errare in queste vecchie strade! |
VRecuerdo infantil Una tarde parda y fría de invierno. Los colegiales estudian. Monotonía de lluvia tras los cristales. Es la clase. En un cartel se representa a Caín fugitivo, y muerto Abel, junto a una mancha carmín. Con timbre sonoro y hueco truena el maestro, un anciano mal vestido, enjuto y seco, que lleva un libro en la mano. Y todo un coro infantil va cantando la lección; mil veces ciento, cien mil, mil veces mil, un millón. Una tarde parda y fría de invierno. Los colegiales estudian. Monotonía de la lluvia en los cristales. | VRicordo infantile Un vespro grigio e freddo d'inverno. Gli scolari studiano. Monotonia della pioggia dietro i vetri. È lezione. Un cartellone raffigura Caino che fugge, e morto Abele, vicino a una macchia rossa. Con timbro sonoro e cavo tuona il maestro, un vecchio malvestito, magro e scarno, con un libro nella mano. E tutto un coro infantile va cantando la lettura; mille volte cento, centomila, mille volte mille, un milione. Un vespro grigio e freddo d'inverno. Gli scolari studiano. Monotonia della pioggia sui vetri. |
VI Fue una clara tarde, triste y soñolienta tarde de verano. La hiedra asomaba al muro del parque, negra y polvorienta... La fuente sonaba. Rechinó en la vieja cancela mi llave; con agrio ruido abriose la puerta de hierro mohoso y, al cerrarse, grave golpeó el silencio de la tarde muerta. En el solitario parque, la sonora copla borbollante del agua cantora me guió a la fuente. La fuente vertía sobre el blanco mármol su monotonía. La fuente cantaba: ¿Te recuerda, hermano, un sueño lejano mi canto presente? Fue una tarde lenta del lento verano. Respondí a la fuente: No recuerdo, hermana, mas sé que tu copla presente es lejana. Fue esta misma tarde: mi cristal vertía como hoy sobre el mármol su monotonía. ¿Recuerdas, hermano?... Los mirtos talares, que ves, sombreaban los claros cantares que escuchas. Del rubio color de la llama, el fruto maduro pendía en la rama, lo mismo que ahora. ¿Recuerdas, hermano?... Fue esta misma lenta tarde de verano. -No sé qué me dice tu copla riente de ensueños lejanos, hermana la fuente. Yo sé que tu claro cristal de alegría ya supo del árbol la fruta bermeja; yo sé que es lejana la amargura mía que sueña en la tarde de verano vieja. Yo sé que tus bellos espejos cantores copiaron antiguos delirios de amores: mas cuéntame, fuente de lengua encantada, cuéntame mi alegre leyenda olvidada. -Yo no sé leyendas de antigua alegría, sino historias viejas de melancolía. Fue una clara tarde del lento verano... Tú venías solo con tu pena, hermano; tus labios besaron mi linfa serena, y en la clara tarde, dijeron tu pena. Dijeron tu pena tus labios que ardían; la sed que ahora tienen, entonces tenían. -Adiós para siempre la fuente sonora, del parque dormido eterna cantora. Adiós para siempre, tu monotonía, fuente, es más amarga que la pena mía. Rechinó en la vieja cancela mi llave; con agrio ruido abriose la puerta de hierro mohoso y, al cerrarse, grave sonó en el silencio de la tarde muerta. | VI Fu una sera luminosa, triste e sonnolenta sera d'estate. L'edera sporgeva dal muro del parco, nera e polverosa... La fonte sonava. Stridette nel vecchio cancello la mia chiave; si aprì la porta con aspro rumore di ferro rugginoso e, nel chiudersi, grave colpì il silenzio della morta sera. Nel parco solitario, la sonora strofa gorgogliante dell'acqua che cantava mi diresse alla fonte. La fonte versava sul marmo bianco la sua monotonia. La fonte cantava: Il mio canto di ora, fratello, ti ricorda un sogno lontano? Fu una lunga sera della lunga estate. Risposi alla fonte: Non ricordo, sorella, ma so che la tua strofa di ora è lontana. Fu questa stessa sera: versava il mio cristallo come oggi sul marmo la sua monotonia. Ricordi, fratello?... I mirti talari che vedi ombreggiavano i limpidi canti che odi. Del fulvo color della fiamma, il frutto maturo pendeva sul ramo, così come adesso. Ricordi, fratello?... Fu questa stessa lunga sera d'estate. -Non so che mi dice la tua strofa ridente di sogni lontani, sorella fonte. Io so che il tuo luminoso cristallo di letizia già conobbe dell'albero il frutto vermiglio; io so che è lontana l'amarezza mia che sogna nella vecchia sera dell'estate. Io so che i tuoi begli specchi cantori riflessero antichi deliri di amori: ma narrami, fonte dalla lingua incantatrice, narrami la mia lieta leggenda dimenticata. -Io non conosco leggende di antica letizia, ma vecchie storie di malinconia. Fu una sera luminosa della lunga estate... Tu venivi solo con la tua pena, fratello; le tue labbra baciarono la mia linfa serena, e nella sera luminosa dissero la tua pena. Dissero la tua pena le tue labbra che ardevano; la sete che ora hanno, avevano allora. -Addio per sempre, fonte sonora, cantante eterna del parco assopito. Addio per sempre, la tua monotonia, fonte, è più amara della mia pena. Stridette nel vecchio cancello la mia chiave; s'aprì la porta con aspro rumore di ferro rugginoso e, nel chiudersi, grave risonò nel silenzio della morta sera. |
VII El limonero lánguido suspende una pálida rama polvorienta, sobre el encanto de la fuente limpia, y allá en el fondo sueñan los frutos de oro... Es una tarde clara, casi de primavera, tibia tarde de marzo, que el hálito de abril cercano lleva; y estoy solo, en el patio silencioso, buscando una ilusión cándida y vieja: alguna sombra sobre el blanco muro, algún recuerdo, en el pretil de piedra de la fuente dormido, o, en el aire, algún vagar de túnica ligera. En el ambiente de la tarde flota ese aroma de ausencia, que dice al alma luminosa: nunca, y al corazón: espera. Ese aroma que evoca los fantasmas de las fragancias vírgenes y muertas. Sí, te recuerdo, tarde alegre y clara, casi de primavera, tarde sin flores, cuando me traías el buen perfume de la hierbabuena, y de la buena albahaca, que tenía mi madre en sus macetas. Que tú me viste hundir mis manos puras en el agua serena, para alcanzar los frutos encantados que hoy en el fondo de la fuente sueñan... Sí, te conozco, tarde alegre y clara, casi de primavera. | VII Il limone sospende in abbandono un ramo scolorito e polveroso sopra il limpido incanto della fonte, e là sul fondo sogna l'oro dei frutti... Sera così chiara, quasi di primavera, sera mite di marzo, che d'aprile imminente reca l'alito; io solingo, nel patio silenzioso, in cerca d'una candida ed antica illusione: sul muro bianco un'ombra, qualche ricordo sulla balaustra della fonte assopito, o dentro l'aria un vagare di tunica leggiera. Fluttua nell'orizzonte della sera quell'aroma d'assenza, che all'anima splendente dice: mai, e dice al cuore: spera. Quell'aroma che evoca i fantasmi delle fragranze vergini e defunte. Sì, ti ricordo, sera lieta e chiara, quasi di primavera, o sera senza fiori, quando il vago profumo mi recavi della menta e del grato basilico, che serbava mia madre nei suoi vasi. Tu mi vedesti immergere le pure mani nell'acqua calma, tese ai frutti incantati che sognano nel letto della fonte... Sì, ti ricordo, sera lieta e chiara, quasi di primavera. |
IXOrillas del Duero Se ha asomado una cigüeña a lo alto del campanario. Girando en torno a la torre y al caserón solitario, ya las golondrinas chillan. Pasaron del blanco invierno, de nevascas y ventiscas los crudos soplos de infierno. Es una tibia mañana. El sol calienta un poquito la pobre tierra soriana. Pasados los verdes pinos, casi azules, primavera se ve brotar en los finos chopos de la carretera y del río. El Duero corre, terso y mudo, mansamente. El campo parece, más que joven, adolescente. Entre las hierbas alguna humilde flor ha nacido, azul o blanca. ¡Belleza del campo apenas florido, y mística primavera! ¡Chopos del camino blanco, álamos de la ribera, espuma de la montaña ante la azul lejanía, sol del día, claro día! ¡Hermosa tierra de España! | IXRive del Duero S'è affacciata una cicogna sulla vetta campanaria. Intorno alla torre volteggiano e alla casa solitaria le rondinelle stridendo. Passaron del bianco inverno, di nevicate e di tormente i crudi soffi d'inferno. Ecco un tiepido mattino. La povera terra soriana il sole riscalda un pochino. Si passano i verdi pini, quasi azzurri, e primavera vedi erompere nei fini pioppeti della strada e del fiume. Scorre il Duero, terso e muto, dolcemente. La campagna, più che giovane, svela un volto adolescente. In mezzo all'erbe è spuntato qualche umile fiore, azzurro o bianco. Bellezza dei campi or ora in fiore, e mistica primavera! Pioppi del Duero in riva e della strada bianca, spuma della montagna contro l'azzurro distante, diurno sole, giorno brillante! Bella terra di Spagna! |
X A la desierta plaza conduce un laberinto de callejas. A un lado, el viejo paredón sombrío de una ruinosa iglesia; a otro lado, la tapia blanquecina de un huerto de cipreses y palmeras, y, frente a mí, la casa, y en la casa, la reja, ante el cristal que levemente empaña su figurilla plácida y risueña. Me apartaré. No quiero llamar a tu ventana... Primavera viene -su veste blanca flota en el aire de la plaza muerta-; viene a encender las rosas rojas de tus rosales... Quiero verla... | X Alla piazza deserta conduce un labirinto di stradette. Da un lato, la muraglia vecchia e scura d'una chiesa in rovina; d'altro lato, il bianchiccio muro intorno a un giardino di palme e di cipressi; di fronte a me la casa, nella casa la grata dinanzi al vetro che leggero sfuma la figura di lei dolce e ridente. Ma me n'andrò. Non voglio bussarti alla finestra... Primavera ecco che arriva -la sua veste bianca fluttua nell'aria della piazza morta- per accender le rose rosse dei tuoi rosai... Voglio vederla... |
XXXVII ¡Oh, dime, noche amiga, amada vieja, que me traes el retablo de mis sueños siempre desierto y desolado, y solo con mi fantasma dentro, mi pobre sombra triste sobre la estepa y bajo el sol de fuego, o soñando amarguras en las voces de todos los misterios, dime, si sabes, vieja amada, dime si son mías las lágrimas que vierto! Me respondió la noche: Jamás me revelaste tu secreto. Yo nunca supe, amado, si eras tú ese fantasma de tu sueño, ni averigüé si era su voz la tuya, o era la voz de un histrión grotesco. Dije a la noche: Amada mentirosa, tú sabes mi secreto; tú has visto la honda gruta donde fabrica su cristal mi sueño, y sabes que mis lágrimas son mías, y sabes mi dolor, mi dolor viejo. ¡Oh! Yo no sé, dijo la noche, amado, yo no sé tu secreto, aunque he visto vagar ese, que dices desolado fantasma, por tu sueño. Yo me asomo a las almas cuando lloran y escucho su hondo rezo, humilde y solitario, ese que llamas salmo verdadero; pero en las hondas bóvedas del alma no sé si el llanto es una voz o un eco. Para escuchar tu queja de tus labios yo te busqué en tu sueño, y allí te vi vagando en un borroso laberinto de espejos. | XXXVII Oh, dimmi, amica notte, antica amata, che mi porti la scena dei miei sogni sempre deserta e squallida, e soltanto col mio fantasma dentro, povera ombra triste sopra la steppa e sotto il sole ardente, o sognante amarezze nelle voci d'ogni mistero; dimmi, se sai, antica amata, dimmi se sono mie le lacrime che verso. Mi rispose la notte: Giammai mi rivelasti il tuo segreto. Giammai io seppi, amato, s'eri tu quel fantasma del tuo sogno, né m'accertai se tua era la voce oppure d'un ridicolo istrione. Dissi alla notte: Amata mentitrice, conosci il mio segreto, tu che hai veduto la profonda grotta dove il mio sogno foggia il suo cristallo, e sai che le mie lacrime son mie, e sai la pena, la mia vecchia pena. Oh, io non so, disse la notte, amato, ignoro il tuo segreto, pur se ho visto vagare quel che dici desolato fantasma, nel tuo sogno. Io mi sporgo sull'anime se piangono e ne ascolto la fervida preghiera, umile e solitaria, che tu chiami salmo verace; ma nelle volte profonde dell'anima non so se il pianto esprime voce o un'eco. Per ascoltar delle tue labbra i gemiti ti cercai nel tuo sogno, e ti vidi vagare in un confuso labirinto di specchi. |
LXXIV Tarde tranquila, casi con placidez de alma, para ser joven, para haberlo sido cuando Dios quiso, para tener algunas alegrías... lejos, y poder dulcemente recordarlas. | LXXIV Sera tranquilla, quasi con serenità d'anima, per una nuova gioventù, o trascorsa quando Dio volle, per serbare alcune care gioie... lungi, e poter ricordarle dolcemente. |
XCIV En medio de la plaza y sobre tosca piedra, el agua brota y brota. En el cercano huerto eleva, tras el muro ceñido por la hiedra, alto ciprés la mancha de su ramaje yerto. La tarde está cayendo frente a los caserones de la ancha plaza, en sueños. Relucen las vidrieras con ecos mortecinos de sol. En los balcones hay formas que parecen confusas calaveras. La calma es infinita en la desierta plaza, donde pasea el alma su traza de alma en pena. El agua brota y brota en la marmórea taza. En todo el aire en sombra no más que el agua suena. | XCIV Nel mezzo della piazza e sulla rozza pietra, l'acqua sgorga incessante. Nel prossimo giardino alto cipresso innalza, dietro il muro recinto dall'edera, la macchia dei suoi rami stecchiti. La sera sta cadendo di fronte ai caseggiati dell'ampia piazza, in sogno. Le vetrate rifulgono con echi affievoliti di sole. Nei balconi vi sono forme simili a dei teschi confusi. Infinita è la calma nella piazza deserta, dove passeggia l'anima il suo spettro di pena. L'acqua sgorga incessante nella conca marmorea. In tutta l'aria in ombra solo l'acqua risuona. |
De Campos de Castilla | Da Campi di Castiglia |
XCVIIRetrato Mi infancia son recuerdos de un patio de Sevilla, y un huerto claro donde madura el limonero; mi juventud, veinte años en tierra de Castilla; mi historia, algunos casos que recordar no quiero. Ni un seductor Mañara, ni un Bradomín he sido -ya conocéis mi torpe aliño indumentario-, mas recibí la flecha que me asignó Cupido, y amé cuanto ellas pueden tener de hospitalario. Hay en mis venas gotas de sangre jacobina, pero mi verso brota de manantial sereno; y, más que un hombre al uso que sabe su doctrina, soy, en el buen sentido de la palabra, bueno. Adoro la hermosura, y en la moderna estética corté las viejas rosas del huerto de Ronsard; mas no amo los afeites de la actual cosmética, ni soy un ave de esas del nuevo gay-trinar. Desdeño las romanzas de los tenores huecos y el coro de los grillos que cantan a la luna. A distinguir me paro las voces de los ecos, y escucho solamente, entre las voces, una. ¿Soy clásico o romántico? No sé. Dejar quisiera mi verso, como deja el capitán su espada: famosa por la mano viril que la blandiera, no por el docto oficio del forjador preciada. Converso con el hombre que siempre va conmigo -quien habla solo espera hablar a Dios un día-; mi soliloquio es plática con este buen amigo que me enseñó el secreto de la filantropía. Y al cabo, nada os debo; debéisme cuanto he escrito. A mi trabajo acudo, con mi dinero pago el traje que me cubre y la mansión que habito, el pan que me alimenta y el lecho en donde yago. Y cuando llegue el día del último viaje, y esté al partir la nave que nunca ha de tornar, me encontraréis a bordo ligero de equipaje, casi desnudo, como los hijos de la mar. | XCVIIRitratto La mia infanzia: memorie d'un patio di Siviglia, e d'un chiaro giardino in cui matura il limone; la gioventù: vent'anni in terra castigliana; la mia storia: vicende che non voglio evocare. Né don Juan seduttore, né un Bradomin io fui -già conoscete il goffo abbigliamento mio-, ma ricevei la freccia che mi assegnò Cupido e amai quanto vi sia in quelle di ospitale. Gocce di giacobino sangue nelle mie vene, ma zampilla il mio verso da sorgiva serena; più che uomo alla moda, che sa la sua dottrina, sono, nel miglior senso della parola, buono. Adoro la bellezza; nella moderna estetica tagliai le vecchie rose dell'orto di Ronsard; ma non amo i belletti dell'ultima cosmetica, né son dei nuovi uccelli dei lirico trillare. Disprezzo le romanze dei turgidi tenori ed il coro dei grilli che cantano alla luna. A distinguer le voci dagli echi mi soffermo e ascolto solamente, tra le voci, una sola. Son classico o romantico? Non so. Lasciar vorrei il verso, come lascia la spada il capitano: famosa per la mano virile che l'impugna, non per l'arte sapiente del suo fabbro pregiata. Mi trattengo con l'uomo che viene sempre meco -chi parla solo spera parlare un giomo a Dio-; colloquio è il mio monologo con questo buon amico che m'insegnò il segreto della filantropia. Nulla vi debbo, infine; voi a me quel che ho scritto. Al mio lavoro attendo, col mio denaro pago la veste che mi copre e la casa che abito, il pane che mi nutre e il letto in cui mi giaccio. E quando il dì verrà dell'ultimo mio viaggio e salperà la nave per non più ritornare, mi troverete a bordo leggero di bagaglio e sarò quasi nudo, come i figli del mare. |
XCVIIIA orillas del Duero Mediaba el mes de julio. Era un hermoso día. Yo, solo, por las quiebras del pedregal subía, buscando los recodos de sombra, lentamente. A trechos me paraba para enjugar mi frente y dar algún respiro al pecho jadeante; o bien, ahincando el paso, el cuerpo hacia adelante y hacia la mano diestra vencido y apoyado en un bastón, a guisa de pastoril cayado, trepaba por los cerros que habitan las rapaces aves de altura, hollando las hierbas montaraces de fuerte olor -romero, tomillo, salvia, espliego-. Sobre los agrios campos caía un sol de fuego. Un buitre de anchas alas con majestuoso vuelo cruzaba solitario el puro azul del cielo. Yo divisaba, lejos, un monte alto y agudo, y una redonda loma cual recamado escudo, y cárdenos alcores sobre la parda tierra -harapos esparcidos de un viejo arnés de guerra-, las serrezuelas calvas por donde tuerce el Duero para formar la corva ballesta de un arquero en torno a Soria. -Soria es una barbacana, hacia Aragón, que tiene la torre castellana-. Veía el horizonte cerrado por colinas obscuras, coronadas de robles y de encinas; desnudos peñascales, algún humilde prado donde el merino pace y el toro, arrodillado sobre la hierba, rumia; las márgenes del río lucir sus verdes álamos al claro sol de estío, y, silenciosamente, lejanos pasajeros, ¡tan diminutos! -carros, jinetes y arrieros- cruzar el largo puente, y bajo las arcadas de piedra ensombrecerse las aguas plateadas del Duero. El Duero cruza el corazón de roble de Iberia y de Castilla. ¡Oh, tierra triste y noble, la de los altos llanos y yermos y roquedas, de campos sin arados, regatos ni arboledas; decrépitas ciudades, caminos sin mesones, y atónitos palurdos sin danzas ni canciones que aún van, abandonando el mortecino hogar, como tus largos ríos, Castilla, hacia la mar! Castilla miserable, ayer dominadora, envuelta en sus andrajos desprecia cuanto ignora. ¿Espera, duerme o sueña? ¿La sangre derramada recuerda, cuando tuvo la fiebre de la espada? Todo se mueve, fluye, discurre, corre o gira; cambian la mar y el monte y el ojo que los mira. ¿Pasó? Sobre sus campos aún el fantasma yerra de un pueblo que ponía a Dios sobre la guerra. La madre en otro tiempo fecunda en capitanes madrastra es hoy apenas de humildes ganapanes. Castilla no es aquella tan generosa un día, cuando Myo Cid Rodrigo el de Vivar volvía, ufano de su nueva fortuna y su opulencia, a regalar a Alfonso los huertos de Valencia; o que, tras la aventura que acreditó sus bríos, pedía la conquista de los inmensos ríos indianos a la corte, la madre de soldados, guerreros y adalides que han de tornar, cargados de plata y oro, a España, en regios galeones, para la presa cuervos, para la lid leones. Filósofos nutridos de sopa de convento contemplan impasibles el amplio firmamento; y si les llega en sueños, como un rumor distante, clamor de mercaderes de muelles de Levante, no acudirán siquiera a preguntar ¿qué pasa? Y ya la guerra ha abierto las puertas de su casa. Castilla miserable, ayer dominadora, envuelta en sus harapos desprecia cuanto ignora. El sol va declinando. De la ciudad lejana me llega un armonioso tañido de campana -ya irán a su rosario las enlutadas viejas-. De entre las peñas salen dos lindas comadrejas; me miran y se alejan, huyendo, y aparecen de nuevo ¡tan curiosas!... Los campos se obscurecen. Hacia el camino blanco está el mesón abierto al campo ensombrecido y al pedregal desierto. | XCVIIISulle rive del Duero Era di mezzo luglio. Un bellissimo giorno. Io, solo, per le crepe del ghiareto salivo, in cerca delle svolte nell'ombra, lentamente. A tratti mi fermavo per asciugar la fronte, per concedere qualche sollievo al petto ansante; o forzando la marcia, con il corpo in avanti, verso la mano destra arreso ed appoggiato ad una mazza, a guisa di rustico vincastro, m'inerpicavo ai colli che abitano i rapaci delle alture, pestando l'erbe montane d'acre odore -rosmarino e timo, salvia, spigo-. Sugli aspri campi un sole di fuoco si gettava. Un avvoltoio d'ampie ali in maestoso volo del cielo il puro azzurro scorreva solitario, Io percepivo, lungi, un monte alto ed aguzzo, e una tonda collina come scudo istoriato, ed alture violette sopra la terra grigia -come sparsi brandelli d'un vecchio ordigno bellico-, le montagnuole calve per dove piega il Duero per formare la curva balestra d'un arciere intorno a Soria. -Soria è come un barbacane, verso Aragona, della fortezza castigliana-. Vedevo l'orizzonte recinto di colline oscure, coronate di roveri e di querce; spogli siti rupestri, qualche umile prato dove il merino pascola, dove rumina il toro, sull'erba inginocchiato; i margini del fiume sfoggiare i verdi pioppi al chiaro sole estivo, e silenziosamente, viandanti in lontananza, piccolissimi! -carri, butteri e mulattieri- passare il lungo ponte, e sotto le petrigne arcate farsi oscure le acque inargentate del Duero. Il Duero il cuore di rovere attraversa d'Iberia e di Castiglia. Oh, terra triste e nobile, terra degli altipiani, delle lande e dirupi, di campi senza aratri, né boschi né ruscelli; decrepite città, strade senza locande, e attoniti villani senza balli né canti, che vanno sempre, il misero focolare lasciando, come i tuoi lunghi fiumi, Castiglia, verso il mare! Castiglia miserabile, ieri dominatrice, avvolta nei suoi stracci, disprezza quanto ignora. Aspetta, dorme o sogna? Il suo sangue versato ricorda, quando aveva la febbre della spada? Tutto si muove, scorre, divaga, corre o gira; il mare e il monte mutano, e l'occhio che li guarda. Passò? Vaga il fantasma, ancora nei suoi campi, d'un popolo che Iddio metteva sulla guerra. Madre di capitani feconda in altri tempi, matrigna è oggi appena di poveri braccianti. Castiglia non è quella, sì generosa un tempo, quando Myo Cid Rodrigo di Vivar ritornava, superbo di recenti vittorie e di ricchezze, per donare ad Alfonso la piana di Valencia; che dopo l'avventura, che suggellò il valore, degl'indiani fiumi immensi la conquista richiedeva alla corte, la madre di soldati, guerrieri e comandanti, che torneranno, carichi d'argento e d'oro, in Spagna, su regi galeoni, corvi nella rapina, nella lotta leoni. Filosofi nutriti di zuppa di convento contemplano impassibili il vasto firmamento; se li ferisce in sogno, come suono remoto, clamore di mercanti da porti levantini, non penseran nemmeno a chiedere: che avviene? E le porte di casa ha già aperto la guerra. Castiglia miserabile, ieri dominatrice, ravvolta nei suoi stracci, disprezza quanto ignora. Va tramontando il sole. Dalla città lontana mi giunge un armonioso rintocco di campana -già le vecchie in gramaglie al rosario s'avviano-. Di tra le rupi guizzano due donnole leggiadre; mi guardano e dileguano fuggendo, e ricompaiono nuovamente, curiose!... La campagna s'oscura. Verso la strada bianca è aperta la locanda sopra i campi imbruniti, sul ghiareto deserto. |
CXIIICampos de Soria VI ¡Soria fría, Soria pura, cabeza de Extremadura, con su castillo guerrero arruinado, sobre el Duero; con sus murallas roídas y sus casas denegridas! ¡Muerta ciudad de señores, soldados o cazadores; de portales con escudos de cien linajes hidalgos, y de famélicos galgos, de galgos flacos y agudos, que pululan por las sórdidas callejas, y a la media noche ululan, cuando graznan las cornejas! ¡Soria fría! La campana de la Audiencia da la una. Soria, ciudad castellana ¡tan bella! bajo la luna. VII ¡Colinas plateadas, grises alcores, cárdenas roquedas por donde traza el Duero su curva de ballesta en torno a Soria, oscuros encinares, ariscos pedregales, calvas sierras, caminos blancos y álamos del río, tardes de Soria, mística y guerrera, hoy siento por vosotros, en el fondo del corazón, tristeza, tristeza que es amor! ¡Campos de Soria donde parece que las rocas sueñan, conmigo vais!... ¡Colinas plateadas, grises alcores, cárdenas roquedas!... VIII He vuelto a ver los álamos dorados, álamos del camino en la ribera del Duero, entre San Polo y San Saturio, tras las murallas viejas de Soria -barbacana hacia Aragón, en castellana tierra. Estos chopos del río, que acompañan con el sonido de sus hojas secas el son del agua, cuando el viento sopla, tienen en sus cortezas grabadas iniciales que son nombres de enamorados, cifras que son fechas. ¡Álamos del amor que ayer tuvisteis de ruiseñores vuestras ramas llenas; álamos que seréis mañana liras del viento perfumado en primavera; álamos del amor cerca del agua que corre y pasa y sueña, álamos de las márgenes del Duero, conmigo vais, mi corazón os lleva! IX ¡Oh!, sí, conmigo vais, campos de Soria, tardes tranquilas, montes de violeta, alamedas del río, verde sueño del suelo gris y de la parda tierra, agria melancolía de la ciudad decrépita, me habéis llegado al alma, ¿o acaso estabais en el fondo de ella? ¡Gente del alto llano numantino que a Dios guardáis como cristianas viejas, que el sol de España os llene de alegría, de luz y de riqueza! | CXIIICampagne di Soria VI Soria fredda, Soria pura, principio d'Extremadura, col suo castello guerriero, rovinato, sopra il Duero; con le muraglie ammuffite, con le sue case annerite! Morta città di signori, di soldati o cacciatori; di blasonati portali, di cento illustri casati, e di veltri affamati, di magri veltri esiziali, che pulluano in vicoli sporchi e torvi, e a mezzanotte ululano, quando gracchiano i corvi! Soria fredda! La campana di Pretura batte l'una. Soria, città castigliana così bella, con la luna! VII Colline inargentate, grigi poggiuoli, rupi illividite, per dove traccia il Duero la curva di balestra intorno a Soria, scuri querceti, aspre piaghe petrose, calve sierre, candide strade e pioppi lungo il fiume, vespri di Soria mistica e guerriera, nel profondo del cuore oggi per voi sento tristezza, e la tristezza è amore! Campi di Soria, dove sembra che sognino le rocce, meco andate! Colline inargentate, grigi poggiuoli, rupi illividite!... VIII Son tornato a vedere i pioppi d'oro, i pioppi della strada sulla riva del Duero, tra San Polo e San Saturio, dietro le vecchie mura di Soria -barbacane verso Aragona, in terra castigliana. Questi pioppi del fiume, che accompagnano col fruscio delle loro foglie secche l'acqua sonante quando spira il vento, hanno sulle cortecce iniziali intagliate che son nomi d'innamorati, cifre che son date. O pioppi dell'amore, e ieri aveste i vostri rami pieni d'usignuoli; pioppi, domani voi sarete lire del vento profumato a primavera; voi, pioppi dell'amore presso l'acqua che scorre e passa e sogna, pioppi del Duero lungo le sue sponde, con me venite, il cuore mio vi porta! IX Campi di Soria, oh sì, con me venite, vespri sereni, monti color viola, alberati del fiume, sogno verde del suolo grigio e della terra oscura, acre malinconia della città decrepita, forse mi siete giunti dentro l'anima o in essa già da tempo albergavate? Genti dell'altipiano numantino, che da pure cristiane Iddio serbate, il sole della Spagna vi ricolmi di letizia, di luce e di ricchezza! |
CXVA un olmo seco Al olmo viejo, hendido por el rayo y en su mitad podrido, con las lluvias de abril y el sol de mayo, algunas hojas verdes le han salido. ¡El olmo centenario en la colina que lame el Duero! Un musgo amarillento le mancha la corteza blanquecina al tronco carcomido y polvoriento. No será, cual los álamos cantores que guardan el camino y la ribera, habitado de pardos ruiseñores. Ejército de hormigas en hilera va trepando por él, y en sus entrañas urden sus telas grises las arañas. Antes que te derribe, olmo del Duero, con su hacha el leñador, y el carpintero te convierta en melena de campana, lanza de carro o yugo de carreta; antes que rojo en el hogar, mañana, ardas de alguna mísera caseta, al borde de un camino; antes que te descuaje un torbellino y tronche el soplo de las sierras blancas; antes que el río hasta la mar te empuje por valles y barrancas, olmo, quiero anotar en mi cartera la gracia de tu rama verdecida. Mi corazón espera también, hacia la luz y hacia la vida, otro milagro de la primavera. Soria, 1912 | CXVA un olmo secco Al vecchio olmo, spaccato dalla folgore e nel mezzo marcito, con le piogge d'aprile e il sole a maggio, sono spuntate poche verdi foglie. Oh, l'olmo secolare sopra il colle ch'è lambito dal Duero! La corteccia bianchiccia da un gialligno musco è tinta nel tronco putrefatto e polveroso. Come i pioppi canori, che sorvegliano il cammino e la riva, non sarà di rossicci usignuoli popolato. S'arrampica su esso di formiche un esercito in fila, e nelle viscere tramano i ragni le lor grigie tele. Olmo del Duero, prima che t'abbatta con l'ascia il legnaiuolo, e il falegname ti trasformi in un mozzo di campana, stanga di carro o giogo di carretta; prima che rosso nel camino arda domani in qualche misera casetta sul ciglio d'una strada; prima che ti annienti un turbine e ti schianti il soffio delle candide montagne; prima che il fiume ti sospinga al mare per valli e per burroni, olmo, voglio annotare nei miei appunti la grazia del tuo ramo rinverdito. Anche il mio cuore aspetta, alla luce guardando ed alla vita, altro prodigio della primavera. Soria, 1912 |
Traduzione di Oreste Macrì
Da Antonio Machado, Tulle le poesie e prose scelte, a cura di Giovanni Caravaggi, Meridiani Mondadori 2010, pp. CLXV-1.592.