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Romancero general o colección de romances castellanos anteriores al siglo XVIII, por Don Agustín Durán, I, B. A. E., X, (1.ª ed. 1849), Prólogo (verrà citato con l'abbreviazione Rom., Pról.), p. XXXIV.

 

112

An. del drama... El Conden., cit., p. 720.

 

113

Colección de Romances castellanos anteriores al siglo 18, t. I (Contiene los moriscos) s. l. n. a. (ma Madrid, 1828), p. 3 e sgg.

 

114

Colección... t. II (Contiene los doctrinales, amatorios, satíricos y burlescos), Madrid, 1829, p. 3.

 

115

Colección... t. III, Advertencia (cinque pagine senza numerazione).

 

116

Colección..., t. IV (Contiene la primera parte de los caballerescos e históricos), Madrid, Aguado, 1832: a p. VII sgg. si trova il Discurso preliminar, ripubblicato poi, con lievi varianti, in B. A. E., X, p. XLIX sgg., donde sono tratte le citazioni. Verrà citato con l'abbreviazione Rom., Disc. La presente citazione è tratta dalla p. LXII. Le varianti fra la prima edizione e la ristampa non sono sostanziali, limitandosi per lo più all'aggiunta di qualche breve proposizione, dettata più da ragioni stilistiche che di pensiero. L'aggiunta più notevole è riscontrabile a p. LXII della ristampa, dove sono inserite ex-novo sei righe, in cui si accenna a Sepúlveda e ad altri poeti, che tentarono in modo maldestro di riprendere motivi popolari. Di questo Discorso preliminar fu anche compiuta una ristampa quasi integrale nel tomo XVI della Colección de los mejores autores españoles (pp. III-XXI), edito a Parigi nel 1838, a cura di Eugenio de Ochoa.

 

117

Rom., Pról., p. V.

 

118

Ibidem, p. X.

 

119

V. sopra, pp. 52-53.

 

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È strano come questo problema del vero, tanto dibattuto nelle polemiche letterarie dell'Edad de oro e ripreso dai romantici stranieri, non venga, in Spagna (prescindendo da Monteggia), affrontato in maniera risolutiva. Nello stesso Durán rimane poco più di una geniale intuizione, che viene anche talvolta contraddetta. Ancora nel citato prologo del 49 egli giustifica l'anacronismo delle romanze cavalleresche, spiegando che, se gli eroi rappresentati sono veri per i tempi in cui vissero, i costumi (nell'ampia accezione spirituale che il termine costumbres aveva assunto fin dal secolo XVI) lo sono per i tempi in cui si scrissero: anacronismo expresado con formas relativamente verdaderas (Rom., Pról., p. XV). Altrove invece non è difficile incontrare oscillazioni: nuestro teatro -predice nella recensione a Doña María de Molina- como el del siglo XVI, será todo imaginación, todo poesía, es decir todo verdad; e definisce valida l'opera che busca en la idealidad el carácter de la verosimilitud que la hace grande y bella. Ma al contempo riscontra questa verosimiglianza nella fedele rappresentazione dei caratteri del XIII secolo e non si perita di rimproverare al poeta d'aver talvolta attribuito ai personaggi idee e ragionamenti non conciliabili con l'epoca rappresentata (Observ. pintoresco, 1837, n. 13 [30-7], p. 99 e sgg.). Il che non gli impedisce, in altra occasione, di giustifiicare siffatta infedeltà con l'argomentazione, invero un po'speciosa, che, in opere essenzialmente popolari (quali sono le rappresentazioni teatrali), senza tali anacronismi sarebbe difficile farsi comprendere dal grosso pubblico (An. del drama... El Conden., cit., p. 724). Con maggiore irruenza Larra, dopo aver identificato la verità con l'immaginazione e le passioni, chiedeva a gran voce una nuova letteratura, expresión de la sociedad nueva que componemos, toda de verdad, como de verdad es nuestra sociedad, sin más reglas que esa verdad misma, sin más maestro que la naturaleza (B. A. E., CXXVIII, p. 133). Un'interpretazione più sentimentale ne dà Gil y Carrasco, che parla di lógica del sentimiento e di verdad de la inspiración (cit. da R. LOMBA Y PEDRAJA, E. Gil y Carrasco, in R. T. E., II, 1915, p. 151. V. soprattutto a p. 250 sg., dove è esaminata questa differenza da Larra). Nonostante l'assenza di una completa formulazione e le inevitabili incertezze, questo concetto di verità, in Larra, in Lista, in Gil y Carrasco e nello stesso Durán, pare corrispondere al vero poetico: ne farebbero testimonianza l'identificazione, operata da Larra, da Gil e da Durán, con l'immaginazione e la poesia, e quella operata da Lista con la bellezza. Ma poiché mancano a questi scrittori sicuri presupposti teoretici ed inoltre non vengono da essi tratte conseguenti illazioni, dobbiamo concludere che si tratta in gran parte di un'intuizione inconsapevole. Quel che invece appare sicuro, è l'interpretazione idealistica di questo vero. Per quanto Larra esiga una letteratura mostrando al hombre, no como debe ser, sino como es (B. A. E., CXXVIII, p. 134), per quanto, attraverso mezzo secolo, si parli d'imitazione della natura, si nega tuttavia che il poeta debba accedere ad una copia servile della realtà. ¿Quién sabe por otro medio (che non siano le impressioni personali) como debe o puede ser la naturaleza? si chiede, rifacendosi forse a Donoso Cortés, un articolista del Liceo artístico y literario (II, p. 49, art. cit.).